Inquinamento, un laser made in Italy lo scova nell’acqua

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L’inquinamento non è solo un problema di aria e terreno. Anzi, molto spesso a veicolare i ‘velini’ per salute e ambiente sono i corsi d’acqua. Ora dalla ricerca italiana arriva un’innovativa metodologia di analisi dell’acqua basata su spettroscopia laser Raman (dal nome del fisico indiano premio Nobel che scoprì il fenomeno nei primi anni del ‘900).

Il laser, sviluppato da Enea, promette di rilevare in tempo reale la presenza di sostanze inquinanti, anche a basse concentrazioni. La ricerca è descritta in uno studio, pubblicato sulla rivista internazionale ‘Sensors’.

Come funziona

Un dispositivo laser portatile, già utilizzato con successo per rilevare la presenza di inquinamento nell’aria, è in grado di fornire informazioni anche sulla struttura chimica di inquinanti nell’acqua, grazie all’interazione della luce con le molecole. Si tratta di una tecnologia non ‘distruttiva’ che dà risposte rapide, non richiede particolari condizioni per le misurazioni e può essere applicata direttamente sul campione senza nessuna preparazione.

Le sostanze nel mirino

“Abbiamo preso in esame – racconta Salvatore Almaviva, ricercatore Enea del Laboratorio Diagnostiche e Metrologia presso il Centro Ricerche di Frascati, coautore dello studio insieme ad Antonia Lai, Florinda Artuso, Isabella Giardina e Alessandra Pasquo – gli inquinanti più comuni che è possibile trovare nelle acque di fiumi, laghi e bacini artificiali, come conseguenza di attività agricole e industriali. Queste sostanze mettono in pericolo gli ecosistemi naturali e rappresentano un rischio per la salute di uomini e animali quando quelle stesse acque vengono utilizzate per l’irrigazione in agricoltura e l’abbeveramento del bestiame, entrando così nella nostra catena alimentare”.

Ma di che tipo di inquinamento parliamo? La spettroscopia Raman è risultata efficace soprattutto nel rilevare livelli di concentrazioni dei nitrati fino a 20 milligrammi per litro, vale a dire al di sotto dei limiti di legge (50 mg/l), mentre per i solfiti entro il valore soglia di 500 mg/l.

Un elevato contenuto di nitrati nell’acqua potabile presenta rischi per la salute umana: queste sostanze, una volta ingerite, possono trasformarsi in nitriti, causando ad esempio la cosiddetta “sindrome del bambino blu” conseguente al blocco della capacità di trasporto di ossigeno da parte dell’emoglobina. I nitrati ingeriti hanno un ruolo potenziale nello sviluppo dei tumori del tratto digestivo, ricordano i ricercatori Enea.

“Per la nostra ricerca – racconta Amaviva – abbiamo preso in considerazione il solfito di sodio, utilizzato nell’industria tessile come agente sbiancante, desolforante e nelle piscine per la sua azione declorante. L’assunzione eccessiva di queste sostanze tossiche può causare danni alla salute, a partire da emicrania e asma fino a patologie più gravi. Invece, a livello ambientale, i solfiti possono portare alla formazione di pioggia acida dopo aver reagito con l’acqua”.

Il team ha esaminato anche altri indicatori di inquinamento antropico, quali i batteri coliformi, che potrebbero proliferare nelle acque utilizzate in agricoltura; il glifosato e altri inquinanti atmosferici provenienti dai gas di scarico delle automobili, che possono raggiungere i corpi idrici principalmente attraverso la loro deposizione sul terreno; i fosfati, presenti in genere nelle acque a causa dell’uso di detersivi (da scarichi domestici), concimi e i pesticidi agricoli.

Il futuro della ricerca

“La nostra tecnica di indagine – conclude Lai – si è dimostrata adeguata nel ‘dare la caccia’ a nitrati e solfiti, mentre per i fosfati servono ulteriori studi di ottimizzazione e un miglioramento della sensibilità. I risultati ottenuti finora ci incoraggiano a proseguire non solo nel monitoraggio ambientale e delle risorse idriche ma anche in altri ambiti come la qualità e sicurezza alimentare e la security, sfruttando la rapidità e semplicità del dispositivo nelle fasi di analisi e le sue caratteristiche di compattezza e maneggevolezza”.

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