Maratona di 10 ore per ‘tre interventi in uno’ al Gemelli

Equipe Gemelli
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Una maratona chirurgica di 10 ore per risolvere tre problemi diversi che mettevano a rischio la vita di un uomo di 62 anni. L’eccezionale intervento è stato eseguito a Roma, al Policlinico Gemelli, e ha visto impegnate tre equipe che hanno effettuato un bypass coronarico, asportando anche un tumore renale e rimuovendo in contemporanea un enorme trombo nella vena cava inferiore. 

Il paziente, un romano di 62 anni, è stato dimesso qualche giorno fa e sta bene, fanno sapere i sanitari del Gemelli. Per salvare la vita di Marco (nome di fantasia), in sala operatoria sono intervenuti urologi, cardiochirurghi e chirurgi del fegato, insieme ad anestesisti, tecnici di circolazione extracorporea, strumentisti e infermieri. Una piccola folla, come si vede anche dall’immagine fornita dall’ospedale.

La storia

“Tutto inizia al pronto soccorso del Gemelli – racconta Marco Racioppi, direttore ad interim Uoc Clinica Urologica di Fondazione Policlinico Gemelli e professore associato di Urologia, Università Cattolica del Sacro Cuore – dove il signor Marco arriva perché quella mattina aveva visto le urine rosse di sangue, ma senza nessun sintomo che potesse far pensare ad una brutta cistite. I medici del pronto soccorso studiano il caso, chiedendo subito un’ecografia renale, che evidenzia la presenza di una massa di 7 cm a carico del rene destro. Si sospetta dunque un tumore renale, che può esordire proprio con un’ematuria silenziosa”.

Il paziente viene ricoverato e inizia gli esami in previsione dell’intervento di nefrectomia. E qui arriva la prima ‘sorpresa’. “La Tac con mezzo di contrasto – continua il medico – rivela che il tumore purtroppo ha invaso il bacinetto del rene e la vena renale, dove si è formato un enorme trombo che risale per tutta la vena cava inferiore”, che corre dall’addome verso il cuore, parallela all’aorta, drenando sangue venoso da tutta la metà inferiore del corpo. “In alcuni tratti il trombo, che è lungo circa 15 centimetri, ha un diametro di 6 cm e si estende fino al cuore, dove fa ‘capolino’ allo sbocco della vena cava inferiore, andando a occupare parte dell’atrio destro”.

Insomma una situazione complessa e delicata. “Di solito – spiega Piero Farina, Uoc di cardiochirurgia FPG del Gemelli e ordinario di Chirurgia cardiaca all’Università Cattolica – nonostante la presenza all’interno del cuore è possibile ‘sfilare’ il trombo dal basso, cioè dal livello del rene, dove origina, sotto stretto controllo cardiochirurgico (il trombo potrebbe infatti sgretolarsi e causare una massiva embolia polmonare potenzialmente fatale). In questo caso, le eccezionali dimensioni del trombo e della sua porzione intracardiaca richiedevano il collegamento del paziente a una macchina per la circolazione extracorporea, per evitare prolungati periodi di ipotensione e ridurre le perdite di sangue”.

Inoltre, i consueti accertamenti cardiologici preoperatori rivelano la presenza di un restringimento critico a carico dell’arteria discendente anteriore, la ‘regina’ delle coronarie. In queste condizioni, il cuore non sarebbe in grado di sopportare l’intervento.

Come procedere? Sarebbe possibile disostruire la coronaria impiantandovi uno stent, ma questo richiederebbe una terapia con due farmaci anti-aggreganti per almeno tre mesi, cosa che aumenterebbe notevolmente il rischio di sanguinamento durante l’intervento.

Il confronto e l’operazione

Il caso di Marco viene discusso in un’affollata seduta dell’Heart Team e alla fine si decide di risolvere tutti i problemi in un’unica seduta operatoria. La prima mossa spetta al cardiochirurgo: isolata l’arteria mammaria interna (un’arteria del torace), Farina procede a confezionare – a cuore battente – il bypass che mette in sicurezza il cuore di Marco per tutta la durata dell’intervento.

A questo punto Racioppi può dedicarsi alla delicata manovra di asportazione del tumore e del trombo in vena cava. Per farlo, va esposta la vena cava inferiore in tutta la sua lunghezza, fino al cuore. La parte toracica è già visibile (grazie alla sternotomia mediana e dunque all’apertura del torace fatta per confezionare il bypass), ma in addome la vena cava è per un tratto ‘nascosta’ dal fegato. Un problema del quale è chiamato ad occuparsi Agostino De Rose, chirurgo epato-biliare, che provvede a fare una ‘derotazione’ del fegato, per esporre il tratto di vena cava retrostante.

Tutto è pronto per asportare il rene malato e contemporaneamente a liberare la grande vena dal trombo gigante. Racioppi provvede quindi a ‘preparare’ il rene malato (isolando l’uretere, le vene e l’arteria renale).

Il team cardiochirurgico rientra in gioco per collegare il paziente alla macchina per la circolazione extracorporea, inserendo delle cannule nel cuore e all’inguine. Questo permette di rimuovere il rene e sfilare il trombo minimizzando le perdite di sangue ed evitando pericolosi cali della pressione sanguigna. Il team urologico asporta finalmente il rene e ‘sfila’ il trombo dalla vena cava (aperta e richiusa nella parte inferiore).

Il controllo ecocardiografico transesofageo conferma la sparizione del trombo dall’atrio destro. Quest’ultima manovra si compie in appena 15 minuti.

Dopo 4 giorni di Terapia Intensiva Cardiochirurgica, 2 in Cardiochirurgia e ancora qualche giorno di degenza in Urologia, il 3 febbraio finalmente il paziente viene dimesso dal Policlinico Gemelli, uscendo dall’ospedale con le sue gambe. Una storia di buona sanità che mette in luce anche la creatività della medicina italiana.

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