Antibiotico resistenza, uno sguardo sul futuro

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Gli antibiotici hanno contribuito in modo determinante a impedire la diffusione delle infezioni batteriche riducendo le gravi complicazioni e la morte a cui si andava incontro nell’era pre-antibiotica. In seguito l’uso non appropriato di questi farmaci ha condotto allo sviluppo da parte di molti batteri di una resistenza all’azione di tali farmaci, resistenza che possono trasmettere anche ad altri batteri.

Nel 2019 la morte di oltre un milione di persone è stata attribuita a infezioni causate da batteri che sono diventati resistenti agli antibiotici. Il fenomeno dell’antibiotico resistenza, pertanto, costituisce una seria minaccia per la salute della popolazione mondiale a cui si aggiungono elevati costi economici. Oltre alla perdita di vite, infatti, vanno anche considerate le giornate lavorative perse, il maggior consumo di risorse sanitarie per il prolungamento delle degenze ospedaliere, nonché il maggior utilizzo di procedure diagnostiche e di antibiotici, questi ultimi spesso più costosi, se e quando disponibili.

Oggi, l’antibiotico resistenza rappresenta una delle principali cause di mortalità globale con un’incidenza pari a quella determinata da infezioni come Hiv e malaria. Naturalmente, il tasso di mortalità attribuibili all’antibiotico resistenza, in tutte le età, risulta diverso a seconda della Regione che si analizza: più alto nell’Africa subsahariana occidentale e più basso in Australasia (Australia, Nuova Zelanda, Nuova Guinea e isole minori). Se non si correrà ai ripari si stima, nel 2050, la morte di circa dieci milioni di persone a causa dell’antibiotico resistenza.

Tra i batteri che hanno provocato decessi, in quanto diventati resistenti agli antibiotici, troviamo Escherichia coli (che può causare varie infezioni tra cui quelle urinarie), Stafilococcus aureus (che può causare infezioni della cute e di tutto l’organismo – setticemie –), Klebsiella pneumoniae (che provoca setticemie, infezioni urinarie e polmonari), Streptococcus pneumoniae (una delle principali cause di otite media, polmonite, meningite), Acinetobacter baumanii (in grado di resistere negli ambienti sanitari per circa 30 giorni e causa di infezioni suppurative in vari organi e gravi infezioni respiratorie), e Pseudomonas aeruginosa (in grado di indurre polmoniti, meningiti, otiti, osteomieliti etc.).

Purtroppo tra i batteri sopra menzionati solo per lo Streptococcus pneumoniae è stato messo a punto un efficace programma sanitario mediante la vaccinazione anti-pneumococcica e come sappiamo il numero di soggetti vaccinati è sempre troppo basso.

L’Italia ha un primato negativo: è lo stato europeo in cui si registra il maggior numero di casi e morti attribuibili ad infezioni da batteri antibiotico resistenti, con un impatto economico di circa 320 milioni di euro che, in assenza di specifici interventi finalizzati a ridurre il fenomeno, si attesterà attorno ai due miliardi di euro nel 2050. Per questo ci preme di condividere con i lettori questo piccolo excursus che dovrebbe far riflettere chiunque sia in procinto di assumere un antibiotico.

Cosa è l’antibiotico resistenza?

La dizione resistenza agli antibiotici, o antibiotico-resistenza, indica la capacità di un batterio di resistere all’azione di uno o più farmaci antibiotici e quindi di sopravvivere e moltiplicarsi anche in loro presenza.

L’antibiotico resistenza può essere innata e in tal caso il batterio è naturalmente resistente ad un antibiotico, oppure acquisita e in tal caso il batterio diventa resistente all’azione del farmaco antibiotico mediante modifiche del proprio patrimonio genetico.

Quali sono le cause dell’antibiotico resistenza?

La principale causa dell’antibiotico-resistenza è proprio l’uso eccessivo, e spesso inutile, degli antibiotici anche per curare infezioni virali verso le quali gli antibiotici stessi non hanno alcuna efficacia. Ed è inutile ripetere che l’assunzione di antibiotici in caso di raffreddore o di influenza – tipicamente di origine virale – risulta inefficace se non dannosa in quanto gli antibiotici, in questo caso, distruggono quei batteri che svolgono attività benefiche per l’organismo come ad esempio quelli della flora batterica intestinale.

Altre importanti cause in grado di favorire la creazione di “super batteri” antibiotico-resistenti sono rappresentate:
dall’utilizzo degli antibiotici senza che questi siano stati prescritti dal medico;

dal non rispettare gli intervalli di tempo tra una dose e l’altra così come indicato dal medico;

dal non rispettare la durata della cura prescritta dal medico;

dall’abitudine – tutta italiana- del passaparola o per meglio dire la condivisione con altri di antibiotici rimasti inutilizzati.

In realtà molti altri fattori contribuiscono al suo sviluppo, infatti, gli antibiotici sono somministrati in grandi quantità agli animali da allevamento per evitare la comparsa di malattie negli ambienti sovraffollati degli allevamenti intensivi. Poiché gli antibiotici impiegati per curare e prevenire le infezioni batteriche negli animali destinati all’alimentazione umana appartengono alle stesse classi di quelli usati per l’uomo, è possibile che i batteri resistenti sviluppatisi negli animali siano trasmessi agli esseri umani attraverso il cibo. Lo stesso vale per gli antibiotici utilizzati nel campo agro-alimentare.

Quali le principali conseguenze dell’antibiotico resistenza?

Lo sviluppo di batteri resistenti a tutti gli antibiotici disponibili ci sta portandoverso quella che oggi molti studiosi indicano come era post-antibiotica. In tal caso anche le infezioni comuni potrebbero tornare ad essere di nuovo una minaccia per la salute, così come diventerebbe rischioso effettuare operazioni chirurgiche od eseguire trapianti, impianto di protesi o trattamenti di chemioterapia.

Tutto questo ovviamente comporterebbe anche un negativo impatto sulla spesa sanitaria con conseguente scarsa futura sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale.

Che fare?

Occorre evitare l’abuso e l’uso inappropriato degli antibiotici. Nel Piano nazionale di contrasto all’antibiotico resistenza recentemente aggiornato (PNCAR 2017-2020 e 2022-2025) si parla di “Antimicrobial Stewardship”. Questa dizione indica “un insieme di norme e pratiche il cui principale obiettivo è quello di gestire in maniera responsabile l’uso degli antibiotici attualmente a nostra disposizione al fine di ridurre la selezione e diffusione di batteri resistenti agli antibiotici, gli effetti avversi correlati all’uso non corretto degli antibiotici e infine contenerne i costi”.

Seguire tutte le raccomandazioni dell’Antimicrobial Stewardship significa essere in grado di scegliere il giusto antibiotico, la giusta dose e via di somministrazione e la corretta durata della terapia; significa promuovere le vaccinazioni che, consentendo di prevenire le infezioni, riducono l’utilizzo degli antibiotici, significa sanificare l’acqua per evitare le infezioni, lavare correttamente le mani, utilizzare gli antibiotici con giudizio e parsimonia in particolare nel campo agro-alimentare e in quello dell’allevamento. Si pensi che il 70% degli antibiotici, consumati annualmente in uno Stato, è destinato all’allevamento (per promuovere la crescita degli animali e per prevenire la comparsa di malattie) e all’industria agro-alimentare.

Senza dimenticare di promuovere programmi di sviluppo di nuovi antibiotici, in quanto le aziende farmaceutiche sono poco interessate a sviluppare la ricerca in tal senso che risulta molto costosa e non sempre redditizia. Al momento molti nuovi antibiotici hanno ottenuto l’approvazione all’immissione in commercio e sono in grado di combattere anche batteri resistenti.

Dovrà essere cura della classe medica, poi, utilizzarli in maniera appropriata (ad es. a seguito di antibiogramma). Da qui ne deriva l’importanza di una corretta formazione per promuovere l’uso appropriato degli antibiotici, ma secondo noi è necessaria e insostituibile un’idonea comunicazione e informazione alla popolazione generale e a target specifici (pazienti, genitori, insegnanti, popolazione scolastica, consumatori, allevatori, agricoltori), essendo la diffusione di conoscenza e di informazioni corrette un presupposto essenziale per l’uso consapevole ed appropriato degli antibiotici.

Si pensi che un’indagine condotta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, tra settembre e ottobre 2015 su circa 10.000 persone in 12 Paesi, ha evidenziato nel 64% degli intervistati la consapevolezza dell’importanza della resistenza agli antibiotici come problema sanitario e sociale, ma di non sapere come affrontarlo; la stessa percentuale riteneva – però – idoneo l’uso di antibiotici nel trattamento di raffreddore e influenza e il 32% riteneva corretto l’interruzione del trattamento antibiotico al miglioramento dei sintomi senza completare il ciclo farmacologico prescritto.

In Italia uno studio su un campione rappresentativo della popolazione ha mostrato che solo un cittadino su due sa cos’è l’antibiotico resistenza e uno su cinque ne ha sentito parlare: tra questi, il 41% riferisce di essere stato informato dal proprio medico.

Conclusioni

La Medicina moderna, nel cui ambito annoveriamo anche gli interventi chirurgici, la chemioterapia, i trapianti di organo e altre procedure invasive, richiede antibiotici efficaci sia per ottenere validi risultati clinici sia per ridurre la spesa sanitaria.

Pertanto, per affrontare il problema dell’antibiotico resistenza, problematica che in Italia presenta un’incidenza superiore alla media europea, è necessaria la messa in atto di azioni di prevenzione e di controllo. E’ necessario un cambiamento culturale basato su un approccio combinato ossia un approccio “One Health” che deve coinvolgere tutti, medici e pazienti e deve essere finalizzato alla prevenzione delle infezioni per ottenere che gli antibiotici attualmente a nostra disposizione siano usati in modo appropriato e giudizioso.

di *Amelia Filippelli, Ordinaria di Farmacologia – Direttrice Scuola di Specializzazione in Farmacologia e Tossicologia clinica Università degli Studi di Salerno e Direttrice Servizio di Farmacologia Clinica dell’Aou  S.Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona di Salerno

e *Maria Costantino, Direzione Medica di Presidio – Rischio Clinico dell’Aou S.Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona di Salerno, docente a c. Università degli Studi di Salerno

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