Malattie rare. Viganò (Vertex): ‘L’innovazione fa la differenza’

Federico Viganò Fortune
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Concentrare il grosso degli investimenti in ricerca, con l’obiettivo di “fare davvero la differenza per i pazienti”, in particolare quelli con malattie rare del sangue, come fibrosi cistica e betatalassemia. A raccontare a Fortune Italia la strategia della biotech americana Vertex è Federico Viganò, country manager  della società biofarmaceutica, in occasione della Giornata mondiale per le malattie rare. 

Innovazione nel Dna

Vertex, con sede a Boston (Massachusetts), è stata una delle prime aziende biotecnologiche a utilizzare una strategia di progettazione innovativa dei farmaci, fin dalla fase di laboratorio. “Analizziamo a fondo la patologia, arriviamo agli elementi costitutivi, poi si sviluppano modelli sperimentali basati su biomarker predittivi e, senza utilizzare modelli animali, si testa l’approccio terapeutico”, spiega Viganò.

Vertex è una biotech relativamente giovane: fondata nel 1989 in Usa, oggi conta oltre 4.500 dipendenti nel mondo e un fatturato 2022 da 8,93 mld (+18% rispetto al 2021). In Italia la sede dell’azienda è a Roma, una location particolare dal momento che di solito le imprese biotech sono concentrate sull’area milanese. Ma la Roma c’è l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), come ci fa notare Viganò quando chiediamo il perchè di questa scelta. 

La crisi dell’energia e quella delle materie prime

In Italia Vertex ha “una quarantina di dipendenti”, e tutta l’intenzione di crescere. Nonostante le varie crisi che sono susseguite, da Covid-19, alla guerra in Ucraina, dai prezzi delle materie prime a quello dell’energia. “Abbiamo avuto un impatto correlato all’aumento dei costi dell’energia – racconta Viganò – ma devo sottolineare essendo i nostri farmaci salvavita, la missione è stata quella di fare il massimo per assicurare continuità terapeutica ai pazienti. Ecco, dal loro punto di vista posso dire che non c’è stato impatto: siamo riusciti a superare le difficoltà di approvvigionamento delle materie prime”, assicura Viganò. Insomma, in casa Vertex non ci sono stati problemi di forniture di medicinali, come invece si è verificato in questo periodo in altri casi, anche in Italia. 

Bisogni insoddisfatti e investimenti mirati

Perché concentrarsi oggi su un settore come quello delle malattie rare e dei farmaci orfani? “La nostra scelta – spiega il manager – è legata al fatto che in questo settore ci sono ancora i maggiori bisogni insoddisfatti. E per un’azienda come Vertex, focalizzata sulle terapie innovative, fin dall’inizio” è apparso naturale “concentrarsi là dove c’è il maggior bisogno terapeutico non soddisfatto. Questo, oltretutto, ci permette di fare davvero la differenza”.

“Anche il nostro modello di business è particolare: Vertex investe il 70% delle spese in ricerca e sviluppo, contro il 55% medio delle biotech e il 36% del mondo farmaceutico”, sottolinea Viganò. Insomma, per questa biotech il marketing viene dopo. Il grosso dell’investimento è focalizzato in R&S: “Nel 2022 abbiamo speso 3 mld di dollari in ricerca, contro 1,8 mld nel 2021”.

Nella pipeline le ‘forbici molecolari’

Una scelta vincente, dal punto di vista della pipeline. Fra i prodotti più interessanti “figurano quelli contro la fibrosi cistica”, sottolinea Viganò. L’azienda, in effetti, vanta 4 farmaci approvati in grado di curare circa il 90% delle persone affette da fibrosi cistica e può contare su circa 20 studi clinici in corso. “Ma c’è ancora un gruppo di pazienti” tagliato fuori da queste terapie. “Dunque – precisa Viganò – stiamo lavorando su soluzioni diverse, dalle small molecules a un approccio a base di mRna in collaborazione con Moderna”.

La strada della ricerca è lunga e irta di ostacoli, ma nella pipeline di Vertex alcune soluzioni sono, come si suol dire, dietro l’angolo. Molto vicina ad arrivare sul mercato è una nuova terapia genica “che per la prima volta utilizza la tecnologia Crispr-Cas9”, continua Viganò.

Si tratta delle celebri ‘forbici molecolari’ che hanno rivoluzionato l’editing del genoma, rendendolo una procedura semplice, rapida ed economica, cosa che è valsa il Nobel a Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier nel 2020.

Gene editing per anemia falciforme e betatalassemia

“Nel nostro caso – precisa il manager – si tratta della prima terapia di gene editing per dare una soluzione a pazienti con anemia falciforme e betatalassemia. Il dossier è stato sottoposto all’Agenzia europea dei medicinali a fine anno”. E i dati che arrivano dalle sperimentazioni sono molto interessanti.

Ma come funziona questa nuova terapia? “Utilizzando l’editing genetico, viene riattivata nei pazienti la possibilità di produrre l’emoglobina fetale, e questo permette ai malati di betatalassemia di diventare trasfusion free e a quelli con anemia falciforme di evitare le crisi di riacutizzazione, molto rischiose e dolorose. Le cellule ematopoietiche – precisa il manager – vengono prelevate al paziente, spedite in un laboratorio dove vengono modificate e inviate al centro specializzato che ha in cura il paziente: qui vengono infuse. Il processo richiede, appunto, centri ad alta specializzazione”. In Italia è stato coinvolto nei trial clinici il Centro di ematologia del Bambino Gesù di Roma. 

Sarà una nuova ‘terapia gioiello’? “In questo è impossibile fare una stima sui costi”, dice cauto Viganò, assicurando l’intenzione di trovare insieme ad Aifa “le modalità per rendere il farmaco disponibile ai pazienti italiani. Il nostro è uno dei Paesi con più alta incidenza di betatalassemia, e per noi è particolarmente importante rendere disponibile questa terapia il prima possibile”.

Dal dolore al diabete

Un’altro settore su cui è concentrata la ricerca Vertex è quello della terapia del dolore. “Abbiamo l’obiettivo – racconta Viganò – di sviluppare molecole diverse dagli oppioidi”. Questi farmaci sono stati protagonisti negli Stati Uniti di quella che è stata ribattezzata ‘la crisi degli oppioidi’: una vera e propria epidemia di dipendenza da questi medicinali le conseguenti morti per overdose.

Ma c’è in cantiere anche “una terapia cellulare per il diabete di tipo 1. In questo caso – ci dice Viganò – i risultati sono iniziali, ma ottimi: l’idea è creare cellule staminali allogeniche che riproducano una funzionalità pancreatica attraverso un gruppo di cellule staminali inserite in un sacchetto”. Una sorta di mini-pancreas artificiale “che ha dimostrato di ristabilire la produzione di insulina”.

Questione di priorità

Non ci sono solo le malattie rare, nel futuro dell’azienda. Ma queste patologie, e le personeche ne sono affette, sono una priorità per Vertex. “Lavoriamo per cercare soluzione che possano davvero cambiare la vita di questi pazienti. In alcuni casi c’è molta strada da fare, ma vorrei anche dire che il nostro è un esempio di speranza: come ha dimostrato il caso della fibrosi cistica, con investimenti mirati e un team votato all’innovazione – conclude Viganò – i risultati che  cambiano davvero la vita possono arrivare”. 

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