Anoressia e bulimia, l’impatto di Covid e le parole per guarire

Aurora Caporossi
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Il corpo rimpicciolisce, si ritrae e diventa sempre più leggero. L’umore è spesso cupo, gli occhi tristi e sempre più grandi. Abbracciare una ragazza o un ragazzo preda dell’anoressia è difficile: le ossa si possono contare una ad una. Come se lei (o lui) volesse occupare sempre meno spazio, scomparendo in silenzio. Ma è importante, invece, parlare, chiedere aiuto.

A dar voce ai giovani e giovanissimi che soffrono di disturbi del comportamento alimentare, aumentati negli anni della pandemia, è Animenta, un’associazione nata nel 2021 per volere di Aurora Caporossi, giovanissima founder che per anni ha lottato contro l’anoressia e che oggi è impegnata ad aiutare altri come lei. Secondo gli ultimi dati sono più di 3 milioni le persone che in Italia soffrono di disturbi alimentari e più di 3000 persone ogni anno perdono la vita.

In meno di due anni l’associazione, seguita sui social media da più di 30mila persone, ha dato il suo supporto a oltre 2000 ragazzi e ragazze, coinvolgendo più di 200 persone che svolgono attività di volontariato e 70 esperti, ma anche realtà come l’innovativa start up di psicologia online Unobravo e l’Asl Roma 1 – Centro DCA di Santa Maria della Pietà.

Insieme contro l’anoressia

“L’associazione è nata due anni fa dalle storie di chi ha vissuto un disturbo alimentare ma anche da chi gli è stato accanto, familiari, amici. Io mi sono ammalata a 16 anni”, racconta a Fortune Italia Aurora Caporossi, in occasione della Giornata del fiocchetto lilla, dedicata alla lotta e la prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare e della nutrizione

Ma come mai ha scelto per l’associazione questo nome curioso, che ricorda l’anima e il cibo? “Animenta è un gioco di parole che nasce da una cosa che diceva mia mamma quando stavo male: avevo perso la freschezza dei 16 anni, quando invece avrei dovuto avere voglia di mangiarmelo il mondo. Ecco, la freschezza è quella della menta. Ma il gioco di parole è anche tra anima e mente, e con l’alimentarsi. Ognuno legge questo nome come vuole. Il logo, poi, è una foglia di mentuccia”, spiega la founder.

Le parole sbagliate

Nel caso dei disturbi del comportamento alimentare esistono parole utili al processo di guarigione e altre sbagliate. Per Caporossi le seconde sono “tutte quelle che identificano la persona con la patologia: noi non siamo una diagnosi, che comunque è importante perchè ci permette di capire cosa abbiamo e come curarlo. Ecco perchè è importante dire che la persona ha l’anoressia, non che è anoressica. D’altra parte è fondamentale non giudicare i corpi, cosa che invece facciamo tutti i giorni”. Sui social, poi, spesso il giudizio diventa condanna. “Penso che i social siano uno strumento potentissimo, il fatto è che nessuno ci ha insegnato a usarli veramente. Ne sottovalutiamo l’impatto”, dice Caporossi.

Le immagini

“C’è anche un tema legato alle immagini: i disturbi alimentari non riguardano solo il corpo ma sono espressione di un disagio, di un dolore, molto più profondo. Ecco perchè noi di Animenta, quando raccontiamo questi disturbi, non usiamo foto di corpo, cibo e peso”, precisa Caporossi. Meglio piuttosto parole, grafiche e disegni. “Perchè chi soffre di un disturbo alimentare spesso le parole non riesce a dirle”.

L’impatto di Covid e i numeri

Secondo gli esperti del settore Covid-19 ha alimentato il fenomeno dei disordini alimentari. “I dati di prevalenza dell’anoressia nervosa sono molto disomogenei, anche per la differenza di strumenti utilizzati per attestare le diagnosi. In Italia secondo alcuni studi – precisa a Fortune Italia Edoardo Mocini, medico esperto in Scienza dell’Alimentazione, ricercatore di Università Sapienza e Policlinico Umberto I di Roma e autore di “Fatti i Piatti tuoi” – siamo tra lo 0,3 e lo 0,8%, in linea con le statistiche di altri Paesi occidentali. Per i disturbi dell’alimentazione nel loro complesso le stime parlano di un aumento, in Italia, del 40% rispetto ai dati pre-pandemia“.

“Oggi si assiste a casi di pazienti molto giovani, con frequenza. Tuttavia è difficile quantificare quanto e come questo sia aumentato o diminuito in maniera ‘scientifica’”, continua Mocini.

“Covid-19 – dice Caporossi – ci ha fatto sedere a tavola con i nostri fantasmi. Non potevamo uscire e, dunque, non potevamo più ignorarli. Ecco, dopo la pandemia è aumentata l’attenzione nei confronti della salute mentale. Inoltre ci segnalano che l’età dell’insorgenza di questi disturbi si è abbassata molto: abbiamo casi a 8-10 anni. Ecco allora che è fondamentale il coinvolgimento di pediatri e medici di medicina alimentare”.

I genitori e la reazione dello struzzo

Sembra incredibile ma, di fronte a una figlia o un figlio che smette di mangiare o inizia a perdere peso, molti adulti non si accorgono di nulla. Scatta una sorta di meccanismo di difesa, si mette la testa sotto la sabbia. Eppure i segnali spia sono numerosi: si inizia a mangiare lentamente, si spezzetta il cibo, si va in bagno molte volte, ci si isola dagli amici, si dorme male, si è spesso arrabbiati o tristi.

“Noi diciamo ai ragazzi che è importante chiedere aiuto sempre: il tempo della presa in carico di un disturbo alimentare è fondamentale per la remissione della malattia. Se non ce la sentiamo di chiedere aiuto ai nostri genitori – suggerisce Caporossi – allora andiamo a parlare con gli insegnanti, con gli amici, con le associazioni”.

Ancora troppi tabù

“Su questo tipo di patologie mancano le informazioni di qualità. Abbiamo specialisti molto bravi, ma non sono abbastanza rispetto alla richiesta di cura”, sottolinea Caporossi. “I disturbi alimentari si portano dietro tantissimi pregiudizi e tabù; sono patologie complesse, che hanno bisogno di cure multidisciplinari lunghe e adeguate. C’è inoltre tanto bisogno di prevezione, a cominciare dalle scuole: quest’anno raggiungeremo tra 5000 e 6000 ragazzi incontrati in tutta Italia, ma occorre fare di più”.

Il trattamento

Servono equipe e specialisti appositamente formati, ma la buona notizia è che da queste patologie si può guarire. “Sul territorio però – sottolinea Mocini – i centri sono presenti in maniera profondamente disomogenea, con una concentrazione importantissima al Nord e Centro-Nord e forti carenze in diverse regioni del Sud Italia”.

Una conferma arriva dall’ultima mappa dei centri dedicati alla cura dei Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, stilata dall’Istituto superiore di sanità (Iss). Al 28 febbraio 2023 figurano 126 strutture sparse su tutto il territorio nazionale, di cui 112 pubbliche (appartenenti al Servizio sanitario nazionale – Ssn) e 14 appartenenti al settore del privato accreditato. Ebbene, il maggior numero dei centri (63) si trova nelle regioni del Nord (20 in Emilia Romagna e 15 in Lombardia), al Centro ve ne sono 23 (di cui 8 nel Lazio e 6 in Umbria), mentre 40 sono distribuiti tra il Sud e le Isole (12 in Campania e 7 in Sicilia).

Il messaggio

Come testimonia la stessa storia di Caporossi, c’è luce in fondo al tunnel. “Ma questo non vuol dire dimenticare: l’anoressia è un capitolo nella mia storia, di cui mi sono vergognata per molti anni. Ma poi ho capito che l’esperienza che ho fatto mi ha insegnato qualcosa. Soprattutto, non c’è più vergogna. Ecco, in questa Giornata del fiocchetto lilla vorrei dire che noi ci siamo tutto l’anno per fare in modo che queste patologie abbiano cure adeguate e tempestive”.

L’evento

Proprio a questi temi è dedicato un evento speciale, dal titolo Binario 15”, in programma  sabato 18 marzo dalle 16 alle 21.30 presso Binario F, nel cuore della Capitale.

“Il binario – ricorda Caporossi – rappresenta un luogo di fermata ma anche un possibile punto di partenza. Quando si soffre di un disturbo alimentare non si riesce a vedere l’amore che abbiamo intorno e a percepire l’aiuto che gli altri ci vorrebbero dare. Binario 15 è stato pensato per dire che la guarigione è possibile e che, se chiediamo aiuto, non siamo soli”. Il percorso può essere lungo, doloroso, pieno di curve e ostacoli, ma è possibile guarire: uscire dalla gabbia di sofferenza e tornare a sorridere.

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