Caffè e diabete, uno ‘scudo’ inatteso

caffè donna
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Buone notizie per gli amanti del caffè. Una nuova ricerca ha analizzato l’infiammazione e l’insulino-resistenza nei consumatori abituali, per capire in che modo questa bevanda può ridurre il rischio di diabete di tipo 2. 

Tutto nasce dal fatto che bere anche solo una tazza di caffè in più al giorno è stato associato a un rischio inferiore del 4-6% di diabete di tipo 2. Il tutto in due grandi gruppi di soggetti, analizzati dai ricercatori. Un fenomeno in parte spiegato da livelli più bassi di infiammazione rilevati in queste persone.

Ricordiamo che gli esperti ritengono fino a 400 mg di caffeina (3-5 tazze di caffè) al giorno una quantità sicura per la maggior parte degli adulti. Per le donne in gravidanza o in allattamento, l’assunzione di caffeina dovrebbe essere ridotta a 200 mg al giorno.

Lo studio

La ricerca, pubblicata su Clinical Nutrition e – dobbiamo dirlo per amor di trasparenza – finanziata dall’Institute for Scientific Information on Coffee (ISIC), mostra che il consumo di caffè può davvero aiutare a ridurre il rischio di diabete di tipo 2, mediato dalle differenze nei biomarcatori infiammatori. La ricerca ha valutato i meccanismi attraverso i quali il consumo può avere questo effeto, mettendo in luce il ruolo dell‘infiammazione. 

Diabete e infiammazione

Il diabete di tipo 2 è, in parte, considerato una malattia infiammatoria, quindi studiando l’effetto del caffè su alcuni biomarcatori come la proteina C-reattiva (i cui livelli crescono quando c’è una infiammazione), il team dell’Erasmus University Medical Centre di Rotterdam ha cercato di capire perché un maggiore consumo di caffè fosse collegato a una riduzione del rischio di diabete.

I risultati

Utilizzando i dati della UK Biobank (su 145.368 persone) e del Rotterdam Study (su 7.111), i ricercatori hanno confermato che aggiungere una tazza al giorno di caffè rispetto al consumo abituale è associato a un rischio inferiore del 4-6% di diabete. Non solo, questo ridurrebbe l’insulino-resistenza, la proteina C reattiva e la leptina, aumentando le concentrazioni di adiponectina nei volontari. Ma di che si tratta?

L’adiponectina, ricordano i ricercatori, è un ormone che regola il metabolismo del glucosio e dei lipidi, che ha dimostrato di avere effetti antinfiammatori, mentre la leptina è un ormone che regola l’assunzione di cibo.

Questione di tazze, o tazzine

Attenzione: questo è uno studio internazionale nel quale il caffè viene ‘misurato’ in tazze. Una tazza al giorno in più è stata valutata rispetto al consumo giornaliero dei soggetti, che come ben sappiamo è variabile. All’interno del gruppo di studio si oscillava da 0 a 6 tazze di caffè al giorno. Ebbene, i risultati indicano che l’effetto benefico viene ottenuto con una tazza in più al giorno, indipendentemente dal fatto di essere nella fascia inferiore o superiore di questo intervallo.

Espresso promosso

In Italia caffè fa rima con espresso. Ebbene, i dati del gruppo del Regno Unito suggeriscono che il modo in cui il caffè viene preparato può influire sui suoi benefici per la salute. In particolare, il caffè filtrato o l’espresso hanno la più forte associazione benefica con il minor rischio di diabete di tipo 2 e ridotte concentrazioni di proteina C reattiva, insieme al fatto di non fumare.

Le prospettive

“Il caffè – ha commentato Trudy Voortman, docente di Epidemiologia nutrizionale presso ‘Erasmus University Medical Centre di Rotterdam e responsabile del team di ricerca – è una delle bevande più consumate in tutto il mondo e i suoi potenziali effetti sulla salute stimolano importanti ricerche scientifiche”.

“Precedenti lavori hanno collegato un maggiore consumo di caffè a un minor rischio di sviluppare diabete di tipo 2, ma i meccanismi alla base di ciò erano rimasti poco chiari. La nostra ricerca mostra che il caffè è associato a delle differenze nei livelli di biomarcatori di infiammazione nell’organismo e, poiché sappiamo che il diabete di tipo 2 è in parte una malattia infiammatoria, questo potrebbe essere uno dei fattori in gioco. Questi risultati – ha concluso lo studioso – potrebbero anche supportare la ricerca  sugli effetti del caffè in altre malattie croniche legate all’infiammazione”.

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