Rispetto al 2019, prima della pandemia, quando l’Istituto superiore di sanità denunciava la ‘giungla’ dei Centri di assistenza ai pazienti con demenza, in Italia non è cambiato poi molto. I nuovi dati raccolti dall’Osservatorio Demenze dell’Iss che prendono in considerazione il periodo tra luglio 2022 e febbraio 2023 parlano chiaro: per ogni struttura ci sono cinque professionisti (per circa 1,2 milioni di persone che vivono con una demenza nel nostro Paese), e un quarto dei Centri è aperto solo un giorno a settimana.
Ebbene sì. Negli oltre 500 Centri per i Disturbi cognitivi e le demenze (Cdcd) sparsi sul territorio nazionale, lavorano in media cinque professionisti. Un terzo circa di questi Centri è diretto dal neurologo, un altro terzo dal geriatra e in poco meno di un altro terzo operano almeno due delle tre figure mediche fondamentali (neurologo, geriatra, psichiatra). Mentre nel 5% dei casi a coordinare è lo psichiatra.
Scarseggiano dunque altre tipologie di professionisti: infermieri, fisioterapisti, logopedisti, mediatori culturali. La percentuale di terapisti occupazionali, ad esempio, è dell’1,1%. “Questi dati fotografano le criticità dell’offerta sanitaria presente in Italia per i Cdcd”, ha osservato Nicola Vanacore, direttore dell’Osservatorio Demenze dell’Iss.
“In una logica di sanità pubblica è fondamentale poter disporre nei Cdcd, un nodo cruciale per la diagnosi e la presa in carico delle persone con demenza, di un maggior numero di professionisti e di personale con diversi profili al fine di poter valorizzare sempre più un lavoro di equipe interprofessionale e di renderlo disponibile e capillare in tutto il territorio nazionale. Si tratta di dati molto importanti poiché parliamo di un problema che coinvolge in Italia circa due milioni di persone con disturbo cognitivo lieve o demenza e circa tre milioni di italiani, tra familiari e caregiver, che vivono con loro”, ha detto il direttore.
All’indagine hanno partecipato 512 Cdcd su 540 (95%). L’80.9% di questi Cdcd è presente sul territorio nazionale con sedi uniche mentre il 19.1% ha dei distaccamenti territoriali per un totale complessivo di ulteriori 163 strutture. I Cdcd sono localizzati per il 9.2% nelle Università/Ircss, per il 44.1% nel territorio e per il 46.7% negli ospedali.
Nello specifico, il 25.4% dei Cdcd è aperto un solo giorno a settimana. E i Cdcd aperti per 5 giorni a settimana si trovano per il 43.5% al Nord, mentre al Centro sono il 27.5% e al Sud-Isole il 24.6%
Le modalità di accesso
Dall’indagine è emerso – e la possibilità di risposta era multipla – che, per effettuare la prima visita, nel 53% dei casi, l’accesso è avvenuto tramite impegnativa del medico di medicina generale (Mmg) per visita specialistica e contatto col Cup regionale. Nel 47% è servita la stessa impegnativa e il contatto col Cup dell’ospedale. Nel 43% l’impegnativa e il contatto col Cdcd. Nel 4.5% c’è stata la possibilità di un contatto diretto con il Cdcd da parte del Mmg o dei medici ospedalieri.
La stessa modalità di accesso è stata usata per la successiva visita di controllo: nel 29% dei casi attraverso l’impegnativa e il Cup regionale, nel 30% attraverso l’impegnativa e il Cup dell’ospedale, nel 41% dei casi attraverso il Mmg.
I servizi offerti nella fase diagnostica e assistenziale
Nella fase diagnostica il 66.5% dei Cdcd ha offerto una Pet amiloidea (che valuta la presenza di placche a livello cerebrale) e nel 62.3% dei casi i marker liquorali, mentre nella fase assistenziale il 45.7% ha fornito un servizio di telemedicina e l’80.7% un counseling individuale per i pazienti. Inoltre il 67.4% dei Cdcd offre una riabilitazione cognitiva e il 59.2% una riabilitazione motoria.
I Centri durante la pandemia
Nel 2020 il 63.2% dei Cdcd è rimasto parzialmente chiuso, di questi circa il 44% per più di tre mesi. Questo dato si è ridotto nel 2021 al 18.4% con una percentuale di chiusura superiore a tre mesi pari a circa il 40%.