Focus sull’Hiv, dalla cura alla prevenzione fino alla PrEP

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Prevenzione, protezione e PrEP: la strategia contro il virus nel nuovo secolo passa attraverso queste parole chiave e deve arrivare ai giovani. L’analisi dell’epidemiologo e della presidente Lila (Lega italiana lotta contro l’Aids)  

Nella memoria dei ragazzi degli anni ’80 la storia dell’Hiv scorre per immagini: quelle dei tg con l’allarme su un virus misterioso, quelle dei celebri spot televisivi (‘Se lo conosci lo eviti, se lo conosci non ti uccide’). Il clamoroso bacio in bianco e nero del 1991 fra l’immunologo Fernando Aiuti e una giovane sieropositiva, Rosaria Iardino (nella foto). Trentuno anni dopo quel bacio, che ci insegnò a non temere questo gesto d’affetto, tantissime cose sono cambiate sul fronte delle terapie. Meno invece, purtroppo, se si parla di prevenzione e stigma. L’Hiv c’è ancora, è un virus infido e la lunga pandemia sembra averlo fatto uscire dai radar. Ecco perché oggi specialisti e associazioni puntano i riflettori su tre P: prevenzione, protezione e PrEP (profilassi pre-esposizione).

“Sono passati più di 43 anni dal 5 giugno 1981, quando i Cdc (Centers for Disease Control and Prevention) americani segnalarono un inspiegabile aumento di due rare patologie (pneumocistosi polmonare e sarcoma di Kaposi) tra giovani omosessuali statunitensi – ricorda Massimo Ciccozzi, ordinario di Epidemiologia molecolare responsabile dell’unità di statistica medica ed epidemiologia molecolare dell’Università Campus Bio-Medico di Roma – Le ricerche portarono, tre anni dopo, a individuare una malattia nuova: l’Aids (sindrome da immunodeficienza acquisita), causata da un virus, l’Hiv, capace di attaccare il sistema immunitario di una persona sana. Ma il vero cambiamento c’è stato negli anni ’90, con la terapia anti-retrovirale. Adesso sappiamo che, grazie alla terapia, la carica virale dei pazienti si abbassa a un livello tale da non far più trasmettere il virus”.

In questi anni la ricerca scientifica ha modificato radicalmente la terapia dell’Hiv, “assicurando alle persone sieropositive un’aspettativa di vita praticamente analoga a quella delle persone non infette dal virus. Ma attenzione: si tratta di un nemico silente. È come un serpente, se si abbassa la guardia, può rialzare la testa”, avverte l’epidemiologo. Secondo le stime in Italia vivono almeno 120mila persone con infezione da Hiv, di cui circa 100mila in terapia antiretrovirale, ma almeno 10mila inconsapevoli di essere infette. Per colpa di Covid-19 “abbiamo accumulato un ritardo alla diagnosi che deve preoccuparci. Sono convinto che occorra più che mai fare informazione su Hiv/Aids e dare messaggi corretti. Come si faceva negli anni ’80, dobbiamo parlarne ai giovani. Abbiamo detto loro di lavare le mani e mettere la mascherina contro il virus di Covid, ma non di mettere il profilattico contro l’Hiv. Ecco cosa dobbiamo fare per i nostri ragazzi: distribuire il profilattico gratis e dare loro informazioni corrette”, sottolinea Ciccozzi.

C’è poi lo stigma, che è duro a morire. Inoltre sono ancora molte le disuguaglianze in termini di accesso alle cure, o di tipo economico: è il caso dell’accesso al credito. Se negli anni la ricerca ha fatto moltissimo, preoccupa il fatto che oggi di Hiv/Aids si parli poco, un silenzio che ha reso questa malattia molto sfumata agli occhi dei giovanissimi. “La conoscenza della popolazione è insufficiente: si confonde l’Hiv con l’Aids”, conferma Giusi Giupponi, presidente nazionale Lila Onlus (Lega italiana per la lotta contro l’Aids). Se sul fronte della ricerca sono ormai una realtà le terapie long acting, che consentiranno di diluire il trattamento nel tempo, anche nell’ottica di una migliore aderenza, “oggi resistono stigma e discriminazioni. Occorre agire davvero sulla prevenzione: se ho corso un rischio, faccio il test. Oggi una persona che scopre di avere l’Hiv, grazie alle terapie nell’arco di 6 mesi può rendere inoffensivo il virus, non trasmetterlo e fare una vita normale, ad esempio, programmare una famiglia”, rileva Giupponi.

“Certo, Covid-19 nel 2020 ha impattato in maniera importante: le visite sono state ridotte, se non cancellate di certo posticipate, ma la buona notizia è che l’accesso ai farmaci non ne ha risentito. La paura di contrarre Covid-19 ha allontanato le persone dagli ospedali, ma nel 2021 qualcosa è migliorato sul fronte dell’accesso e dei servizi”, è il bilancio della presidente Lila. Sul fronte dello screening però, l’impatto c’è stato: sono aumentate le diagnosi di persone con sintomi o malattia già avanzata. “Questo ostacola il percorso di recupero della salute, perché una cosa è scoprire l’Hiv, altra avere già una diagnosi di Aids”. Qualcosa però si è mosso sul fronte degli screening. “Voglio anche ricordare che il 17 marzo 2021 un decreto del ministero della Salute ha autorizzato gli operatori laici appositamente formati a eseguire i test senza la presenza di un medico. Questo ha permesso di mantenere attivo il servizio”.

“Oggi una persona con Hiv assume una terapia composta da uno o due farmaci, con pochissimi effetti collaterali. Inoltre chi è in terapia antiretrovirale con carica virale soppressa non trasmette il virus: insomma, ormai quella Hiv positiva è una persona con una patologia cronica. Io – racconta Giupponi – sono una persona con Hiv da 24 anni, ho iniziato con 21 farmaci al giorno e oggi ne assumo uno solo”.

La grande novità delle ultime settimane è relativa alla questione PrEP (Profilassi Pre-Esposizione). “La PrEP è una terapia pre-esposizione, indicata per coloro che hanno rapporti sessuali senza usare il profilattico”, spiega Giupponi. Si tratta di un farmaco da assumere in modo continuativo tutti i giorni, oppure ‘on demand’ – ovvero prima e dopo un rapporto sessuale non protetto – che riduce di circa il 99% il rischio di contrarre l’Hiv. Approvata nel 2012 dalla Fda (Food and Drug Administration) e nel 2016 dall’Ema (Agenzia europea dei medicinali), in Italia viene usata da tempo, ma questo è l’anno della gratuità. L’Aifa (Agenzia italiana del farmaco), dopo aver annunciato, il 23 marzo, l’intenzione di approvare la distribuzione a carico dello Stato, ha rinviato il disco verde, sbloccandolo però un mese più tardi. “È un ottimo risultato: questo – sottolinea la presidente Lila – permette di evitare nuove infezioni da Hiv. Il ricorso a questa terapia è indicato per persone sessualmente attive che non hanno l’Hiv ma potrebbero esporsi al rischio. Se assunta correttamente, la PrEP – ribadisce Giupponi – offre una protezione che sfiora il 100%. Attenzione: non è indicata per chi abbia rapporti sessuali solo con una persona con Hiv che sia in trattamento e con carica virale soppressa”. Inoltre, per accedervi “la persona deve fare tutti gli esami per le infezioni sessualmente trasmissibili, incluso l’Hiv: se risulta negativa vengono fatti ulteriori accertamenti per fegato e reni, che sono gli organi che potrebbero subire danni nel tempo. A questo punto, se tutto è nella norma, dopo un incontro con un infettivologo viene prescritto il farmaco. In farmacia finora la PrEP costava 60 euro”. Non solo si viene protetti contro l’Hiv, ma i controlli regolari previsti permettono anche di diagnosticare e trattare per tempo eventuali altre infezioni. “Questo a livello sanitario ha un costo inferiore rispetto a trattare una persona con Hiv: basti pensare che la PrEP costa all’incirca 2.000 euro l’anno, mentre il trattamento per un soggetto con Hiv è intorno ai 20mila euro l’anno”, per tutta la vita. Ma di quante persone parliamo? Secondo un sondaggio di PrepInfo presentato la scorsa estate a ICAR2022, a dicembre 2021 in Italia risultavano 3.641 persone che usavano la PrEP per proteggersi dall’Hiv. Nel 2019 erano 531. “L’obiettivo ora è che ministero della Salute e Regioni si coordinino e garantiscano servizi PrEP efficienti, ma anche che si arrivi alla  gratuità del condom, come già accade in molti Paesi europei”.

Torniamo così alle tre P: prevenzione, protezione e PrEP sono fra le priorità indicateci dalla presidente Lila. Convinta che solo una corretta informazione potrà contrastare lo stigma che ancora pesa sulle persone con Hiv, perfino sul posto di lavoro. “Ancora oggi, e non sono casi isolati”.

L’Hiv in Italia 

I dati del Centro Operativo Aids dell’Iss

Nel 2021 sono state 1.770 le nuove diagnosi di infezione da Hiv, pari a un’incidenza di 3 nuove diagnosi ogni 100.000 abitanti. Dal 2012 si è osservata una diminuzione delle nuove diagnosi, che appare più evidente dal 2018, con un declino ulteriore negli ultimi due anni. L’Italia, in termini di incidenza delle nuove diagnosi di Hiv, nel 2021 si colloca al di sotto della media stimata nei Paesi dell’Unione Europea (4,3 casi per 100.000 residenti). La riduzione interessa tutte le modalità di trasmissione. Nel 2021 le incidenze più alte sono state registrate in Lazio, Valle d’Aosta, Toscana ed Emilia-Romagna. Infine, aumenta la quota di persone a cui viene diagnosticata tardivamente l’infezione da Hiv, ovvero con bassi valori di linfociti CD4 o in Aids.

 

 

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