Farmaci, la grande crisi degli equivalenti

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Potremmo chiamarla la grande crisi degli equivalenti. Una crisi legata a quella delle materie prime e dell’energia, con riflessi sulle tasche dei cittadini.

Il 2022 è stato un anno sospeso tra stagnazione e depressione per il mercato italiano dei generici-equivalenti: hanno hanno assorbito il 22% del totale del mercato a confezioni e appena il 14,81% del mercato a valori, con una crescita in valore assoluto del numero delle confezioni vendute (1,8mld contro 1,7 del 2021), ma una flessione in termini di incidenza percentuale (- 0,6%) causato dalla crescita maggiore del segmento branded.

Mentre i cittadini hanno speso poco più di un miliardo di euro di tasca propria per ritirare il farmaco brand off patent – più costoso – al posto dell’equivalente, interamente rimborsato dal Ssn.

Il report

Il Rapporto annuale del Centro studi Egualia sul mercato italiano dei farmaci generici assegna agli equivalenti il 29% del mercato complessivo dei farmaci fuori brevetto contro il 71% detenuto dai brand a brevetto scaduto. A valori il mercato dei generici-equivalenti arriva a 1,6 miliardi di euro, di cui quasi l’82% in Classe A (totalmente rimborsabile dal Ssn).

La geografia dei consumi

Ancora una volta la Penisola mostra un approccio variegato (e curioso): il ricorso agli equivalenti continua a essere privilegiato al Nord (38,8% a unità e 31,5% a valori), rispetto al Centro (28,2% a unità e 24,7% a valori) e al Sud (23% a unità e 20,2% a valori), a fronte di una media Italia del 31,1% a confezioni e del 26,4% a valori.

Non solo: a puntare su questi farmaci sono le aree più ricche del territorio. L’incidenza maggiore dei consumi si registra infatti nella P.A. di Trento (43,8%), in Friuli Venezia Giulia (40,9%) e in Piemonte (39%). In coda per consumi di generici-equivalenti Calabria (21,3%),Campania (21,4%) e Sicilia (22%),

Trend analogo per la spesa in corsia, che registra la predominanza assoluta dei prodotti in esclusiva, titolari dell’86,2% del giro d’affari nel canale ospedaliero contro il 7,8% dei brand a brevetto scaduto e il 6,1% dei generici-equivalenti.

I rischi per le imprese Ue (e i cittadini)

La filiera dei farmaci generici è sotto forte pressione, con prezzi spinti al limite della sostenibilità. Con rischi di ulteriori carenze, oltre a quelle già sperimentate nel corso degli ultimi mesi.

Stando allo studio presentato pochi giorni fa dall’associazione europea del settore, Medicines for Europe, di tutti generici disponibili 10 anni fa, il 26% è scomparso dai mercati europei. Parliamo del 33% degli antibiotici e del 40% dei farmaci antitumorali. Inoltre, più di due terzi (69%) dei farmaci generici ancora sul mercato europeo possono contare attualmente solo su uno o due fornitori: una condizione che rende difficile far fronte ad eventuali nuovi fenomeni di carenza.

Quanto alle materie prime, venti anni fa l’Europa produceva circa la metà degli ingredienti necessari per produrre i suoi medicinali, mentre ora è scesa a circa un quinto.

Scaffali vuoti

“In tutti i Paesi Ue gli scaffali sono sempre più vuoti – ha detto Philippe Drechsle presidente del comitato di produzione e membro del comitato esecutivo di Medicines for Europe – con una varietà limitata di medicinali essenziali forniti da un solo produttore. Questo perché le leggi nazionali tendono a premiare i fornitori di farmaci solo in base al prezzo più basso e ignorano il tema della sostenibilità, che porta rapidamente ad un’industria meno resiliente e catene di approvvigionamento meno solide”.

L’Europa “deve invece puntare su un quadro politico semplificato prevedendo disposizioni sulla sicurezza dell’approvvigionamento e la salvaguardia ambientale industrialmente compatibili, nonché politiche industriali che introducano meccanismi di finanziamento efficienti e competitivi a sostegno della produzione di medicinali in Europa”.

Il caso biosimilari

Secondo i dati contenuti nell’ultimo Rapporto del Centro studi Egualia sul mercato italiano dei farmaci biosimilari nel 2022 le 15 molecole in commercio in versione biosimilari hanno fatto registrare una crescita del 5% rispetto all’anno precedente, assorbendo il 48% dei consumi nazionali (43% nel 2021) contro il 52% (57% nel 2021) detenuto dai corrispondenti originatori.

Di queste, 11 sono protagoniste sul mercato nazionale del sorpasso nelle vendite di biosimilare rispetto al biologico originatore, arrivando ad assorbire oltre il 50% del mercato della molecola. Primo in classifica Filgrastim biosimilare (farmaco essenziale per i pazienti in chemioterapia citotossica), i cui biosimilari in commercio hanno assorbito il 97,23% del mercato della molecola a volumi, contro un residuale 2,77% ancora detenuto dal biologico originatore.

Seguono gli anticorpi monoclonali Rituximab (95,36% del mercato a volumi) e Infliximab (94,89%), le Epoetine (93,12% del mercato) e Bevacizumab (92,08%).

L’analisi del consumo di biosimilari per tutte le molecole con biosimilare in commercio conferma cinque mercati in testa alla classifica. Primi Valle d’Aosta e Piemonte, con una quota di biosimilari pari al 73,6% rispetto al mercato delle molecole di riferimento. Seguono Marche (68,8%), Liguria (61,2%), Sicilia (59%) e Toscana (58,1%). Fanalini di coda Lombardia (25,3%), Sardegna (32,6%) e Calabria (36,4%).

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