Lo strano caso degli orsi che non rischiano trombosi

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Un interessante studio, pubblicato su Science, riguarda lo strano caso degli orsi che, nonostante restino immobili per tutto il periodo del letargo, sono raramente esposti ad eventi tromboembolici.

Un gruppo di ricercatori norvegesi e svedesi ha effettuato prelievi su 13 orsi (Ursus Arctors) sia durante il periodo di letargo che dopo il risveglio, tenendoli sotto osservazione nel periodo che va dal 2019 al 2021.

I test hanno rilevato che il livello di piastrine durante il letargo è inferiore di 55 volte rispetto al periodo di veglia in quanto la proteina chiamata heat-shock protein o HSP47, responsabile dei coaguli si presenta, nel corso dell’immobilita’, in concentrazione ridotta con conseguente riduzione dell’aggregazione piastrinica e limitazione dei trombi. Gli orsi, quindi, sembrerebbero beneficiare di un meccanismo che evita la formazione dei coaguli, abbassando la concentrazione della HSP47.

Ne consegue che questa proteina potrebbe rappresentare la svolta contro gli eventi tromboembolici non solo negli animali ma anche nell’uomo.

Nel corso della vita, gli eventi che costringono all’immobilità sono innumerevoli: dai ricoveri alle malattie invalidanti, dalle gravidanze a rischio ai lavori che richiedono una particolare sedentarietà e un approccio terapeutico “nuovo”, proveniente dalla biologia animale, sarebbe oltremodo utile a sviluppi interessanti per la creazione di farmaci efficaci ed interventi tempestivi.

Le applicazioni di uno studio così originale, che sfrutta i rilievi che ci vengono direttamente dalla biologia animale, trova la sua applicazione pratica anche nella necessità di evitare problematiche tromboemboliche per esempio durante lunghi viaggi aerei. Questo studio rappresenta un enorme balzo in avanti, poiché la proteina HSP47, che si trova normalmente nei tessuti connettivi come ossa e cartilagini, si trova anche nelle piastrine e si lega al collagene.

Se questo meccanismo da una parte è molto utile per riparare i tessuti dopo una lesione, dall’altra interagisce anche con “l’innesco” dei trombi, per cui una nuova classe di farmaci potrebbe mirare ad inibire la proteina HSP47 nell’interazione con le cellule che innescano i coaguli.

Scoprire il meccanismo biochimico che permette al sangue degli orsi di non coagularsi, potrebbe consentire di studiare farmaci per la prevenzione degli eventi trombotici che mettono a rischio milioni di vite.

E infatti, alcuni pazienti, colpiti da lesione di midollo spinale e, quindi, in stato di immobilità, hanno aderito ad un progetto di monitoraggio a seguito dello studio sugli orsi, avente l’obiettivo di esaminare i livelli della proteina HSP47 dopo mesi o anni di prolungata immobilità. Tutti i campioni umani di questi volontari, riscontravano una bassa concentrazione della proteina 47 sul lungo periodo, al pari di ciò che era stato rilevato nella osservazione degli orsi.

Successivamente, effettuando rilievi in 12 persone ‘sane’, gli scienziati hanno rilevato che nel breve periodo vi era un “aumentato rischio trombotico”, che però era portato a “diminuire” nel lungo periodo di immobilità. Capire il perché di certe dinamiche, significa arrivare a risolvere l’incidenza e il sorgere dei coaguli. Questi rilievi e i conseguenti studi potrebbero permettere di “controllare la concentrazione” della proteina 47 nei soggetti maggiormente predisposti alla trombosi, e incidere sul calo di problematiche tromboemboliche su tutto il resto della popolazione.

*Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute di Philadelphia e docente all’Università di Siena.

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