chatgpt
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E l’umanità? E l’empatia? E il rapporto medico-paziente? E quel feeling più o meno intenso che si crea tra chi si prende cura e chi ha necessità d’aiuto per mettersi in salute? Sono davvero tante le domande che ci si pone quando si parla dello sviluppo dei programmi di assistenza all’AI, come ChatGPT o simili, destinati all’impiego nella medicina pratica.

Soprattutto, occorre pensare a percorsi che superino le semplici sperimentazioni per calarsi nella vita di ogni giorno, dove davvero le applicazioni di queste modalità d’approccio e di rapporto a distanza tra sanitario e malato potranno diventare strumento di miglioramento (questa è la speranza) o comunque di trasformazione dell’attività clinica.

Insomma, c’è bisogno di “Real World”: esattamente come quello proposto da un interessante articolo apparso su Jama Internal Medicine e firmato da esperti come John W. Ayers dell’Istituto Qualcomm dell’Università della California di San Diego Eric Leas e Davey Smith, dello stesso ateneo americano.

Diciamolo, e con un po’ di sorpresa. Anche a giudizio dei medici, l’Intelligenza artificiale pare davvero poter superare le più rosee aspettative, anche nella vita reale. Addirittura gli stessi professionisti promuoverebbero senza particolari stress ChatGPT come strumento di relazione per rispondere, ovviamente in via di telemedicina e teleconsulto, alle richieste dei pazienti.

La ricerca, infatti, ha preso in esame le risposte scritte dei medici e quelle di ChatGPT con domande sulla salute del mondo reale, portandole poi all’analisi degli stessi medici.

Ebbene, i professionisti in quasi quattro casi su cinque (stiamo parlando di quasi il 79%) hanno sostanzialmente promosso le risposte di ChatGPT, considerandole non solo di qualità maggiore ma anche ben più empatiche di quelle del professionista sanitario. E questo davvero fa riflettere.

Anche se apre per il futuro uno spazio davvero tendente all’infinito per l’utilizzo di questi strumenti nel rapporto a distanza tra terapeuta, paziente, caregiver ed altri operatori. Perché se davvero questi dati fossero confermati, per ChatGPT non si tratterebbe solamente di una logica promozione sul campo in termini di conoscenza, ma anche di un vero e proprio riconoscimento per l’utilità di questi strumenti nella vita professionale di ogni giorno. Perché oltre all’accuratezza scientifica, il sistema sarebbe in grado di restituire empatia e migliorare il rapporto medico paziente.

Lo studio, per la cronaca, è stato realizzato partendo dall’immensa mole di dati e informazioni derivanti da social media specifici in cui i medici rispondono ai pazienti, come AskDocs di Reddit, che riunisce oltre 450.000 persone, mettendo in diretto contatto i bisogni (culturali ovviamente) dei cittadini con le risposte dei sanitari.

Sono stati presi a campione quasi 200 messaggi di domande e risposta con responso ufficialmente restituito da un professionista sanitario. Gli studiosi hanno poi offerto le medesime domande a ChatGPT chiedendo di formulare una risposta. Poi c’è stata l’ovvia analisi, in cieco: operatori sanitari hanno preso in esame domande e risposte, senza sapere se venivano da un medico in carne ed ossa o da ChatGPT, confrontando le risposte in base alla qualità delle informazioni e all’empatia.

Risultato: in quasi quattro casi su cinque il sistema di AI si è dimostrato tecnicamente valido, ma soprattutto più “umano” e in grado di creare un percorso empatico con il richiedente. Non solo: in termini di qualità ed appropriatezza delle risposte mediamente ChatGPt ha davvero “dominato” il match.

C’è da stupirsi, certo. Ma c’è anche da riflettere. Per quello che potrà essere il futuro dell’assistenza nelle cronicità, in una logica che vedrà sempre di più entrare in campo strumenti di telemedicina e teleconsulto cui si chiederà non solo di essere “preparati”. Ma anche di essere “umani”. Sul fronte psicologico, stando allo studio ChatGPT parte bene.

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