Vita da caregiver, quanto costa prendersi cura di un familiare

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Lavorare e accudire il familiare non autosufficiente? La risposta nella maggior parte dei casi è ‘devo fare entrambe le cose’. Per non rinunciare alle necessarie entrate economiche e perché non è possibile delegare a terzi le impegnative operazioni del ‘prenderesi cura di’ a causa dell’impossibilità di sostenerne i costi, ma anche per un’offerta di servizi che non risponde alle esigenze della famiglia.

La vita dei 7 milioni di caregiver italiani, uomini – ma nella maggior parte dei casi, donne – che si fanno carico dei familiari non autosifficienti, si snoda così lugo il sottile filo della dicotomia tra legittimo desiderio di realizzazione professionale e necessità di assistere i propri cari.

Ed è una quotidianità non affatto semplice, anche dal punto di vista finanziario. Secondo la ricerca “Care 4 caregiver”, congiunta realizzata da Boston Consulting Group e Jointly su un campione di 12.000 dipendenti di aziende in settori quali telecomunicazioni, trasporti, alimentare, energia e credito, quasi uno su cinque dichiara di allocare circa 10.000 euro all’anno di risparmi personali per assistere e curare i propri congiunti. Spesso genitori anziani, con malattie croniche. Anche se in altri casi la spesa annuale è inferiore, nel nostro Paese essa è molto spesso a carico del cittadino, con minima o nulla compartecipazione da parte dello Stato.

Il quadro complessivo non è dei migliori. Infatti in termini di aiuto statale un caregiver familiare su due può contare solo sulle indennità previste dalle legge 104. Se poi è necessario aggiungere una persona che si prenda cura del proprio parente con disabilità nell’orario di lavoro, i parenti sono costretti a pagare la badante di tasca propria.

Il peso economico della disabilità che grava sulle spalle delle famiglie sarebbe già suficiente a denunciare una situazione al limite della sostenibilità. Ma il tutto è gravato anche dalle conseguenze del tempo e dell’impegno mentale che i caregiver di famiglia devono dedicare ai propri cari. Il peso di questa attività è così importante che molti vorrebbero non doversene occupare o almeno avere un supporto psicologico per affrontare questa difficoltà quotidiana.

Una complessità di gestione che spesso non trova soluzione di continuità nemmeno durante le ore passate sul luogo di lavoro. Infatti pare essere ancora diffusa una certa insensibilità dei datori di lavoro per le situazioni che obbligano i dipendenti a essere anche caregiver, non riuscendo magari a darsi anima e corpo nella propria mansione.

Ed è così che quattro lavoratori su dieci non segnalano nemmeno la propria contingenza per timore di ripercussioni. Tra coloro che lo fanno, solo il 28% dice di ricevere supporto da parte dei colleghi.

Tra i dati messi in luce dall’indagine colpiscono alcune voci della spesa privata che i caregivere sono costretti ad affrontare, perché non trovano una adeguata risposta nella sanità pubblica. In particolare, l’accesso alle prestazioni ospedaliere è affrontato spesso privatamente, così come di tasca propria si coprono i costi per diverse forme di assisteza domiciliare e per l’acquisto o il noleggio di ausili sanitari.

Bene, ma come se ne esce? Considerando che la popolazione italiana con più di 65 anni, quella più soggetta ad avere necessità di assistenza, è destinata ad aumentare nei prossimi anni?

Alcuni lavoratori fortunati, ancora pochi per la verità, possono accedere a sistemi di welfare aziendale. Anche se in molti casi risultano poco utilizzati o perché non sono ben noti o perché offrono servizi ritenuti di scarsa utilità per supportare l’attività di cargiving.

Sarebbe utile invece, a detta dei lavoratori-caregiver, innanzitutto il riconoscimento legale della figura del caregiver a livello nazionale – un po’ come sta avvenendo in ordine sparso in Lombardia e in altre regioni. E poi la defiscalizzazione dei pagamenti per le badanti, il 47% delle quali lavora senza contratti regolari, e la defiscalizzazione delle assicurazioni per la long term care.

Queste forme di assicurazioni sanitarie integrative sono ancora estremamente limitate in Italia. Qualora fosse imposta la loro obbligatorietà come già avviene in Germania, unitamente alla loro defiscalizzazione, è probabile che almeno una parte del giogo economico che grava sulle spalle delle famiglie dei caregiver potrebbe essere allegerito.

Come spesso riportiamo, si tratterebbe di riuscire ad attivare quelle sinergie pubblico-privato in grado di creare più valore rispetto alle singole iniziative. E che, nel caso del caregiving, potrebbero liberare risorse della sanità pubblica aggiungendo una tessera in più al puzzle del salvataggio del nostro Sistema sanitario nazionale.

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