Il miliardario Usa e il sangue del figlio per ringiovanire, funziona davvero?

Photo Credit_Bryan Johnson_1
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La notizia è di quelle che incuriosiscono gli appassionati di storia o racconti di vampiri. L’imprenditore americano Bryan Johnson, 45 anni, in una moderna ricerca dell’elisir dell’eterna giovinezza si fa iniettare il sangue del figlio 17enne. Una procedura che, come si legge su Fortune, coinvolge una clinica texana: al ragazzo è stato rimosso un litro di sangue, sono stati separati plasma, globuli rossi e globuli bianchi iniettati poi nelle vene dell’imprenditore.

Lo stesso trattamento è stato fatto anche al padre di Bryan Johnson, che spenderebbe ogni anno 2 mln di dollari nella ricerca dell’eterna giovinezza. Una pratica che a molti ha ricordato il ‘vampirismo’, ma anche la figura cinquecentesca della contessa Erzsébet Báthory, ungherese allevata in Transilvania, convinta che fare il bagno nel sangue di giovani vergini (o anche berlo), le avrebbe garantito la giovinezza eterna.

La contessa finì murata viva con l’accusa di aver ucciso centinaia di giovani vittime, ma questa volta a ricorrere al sangue giovane per ringiovanire è un ricchissimo e moderno imprenditore (fondatore prima di Braintree, azienda specializzata in sistemi di pagamento mobile e web, ora di  Os Found e Kermel).

Photo Credits Magdalena Wosinska

Con il progetto Blueprint, Johnson è di fatto una cavia umana al centro di un monitoraggio H24 del trattamento per riportare tutti i suoi organi all’età di 18 anni. Se la Fda (Food and Drug Administration) sconsiglia infusioni di sangue giovane perché non ci sono “prove cliniche convincenti sulla sua efficacia”, il team medico di Johnson sta testando la procedura. Ma cosa c’è davvero dietro il ‘potere ringiovanente del sangue’? Fortune Italia lo ha chiesto a un genetista, Giuseppe Novelli dell’Università di Roma Tor Vergata, e un’ematologa: Luciana Teofili, direttore dell’Unità operativa complessa di emotrasfusione della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs.

L’ematologa e il sangue di consanguinei

Nel corso dei secoli l’idea di curarsi o ringiovanire col sangue è tornata più volte. Recentemente si è tentato di usare il plasma dei guariti per aiutare i pazienti colpiti da Covid-19. “In questo caso il razionale è diverso – spiega Teofili – l’idea è quella di operare un trasferimento di anticorpi, una sorta di terapia immunologica passiva, che in alcuni particolari casi ha dato alcuni risultati nella prevenzione della progressione della malattia. Ma in questo caso c’è un razionale biologico. Nel ringiovanimento per trasfusione a quale parte del sangue vogliamo attribuire la capacità antinvecchiamento?”, si chiede Teofili.

L’esperta è scettica anche sui presunti benefici di cui ha parlato il manager. “L’effetto placebo esiste. Magari quantificarli attraverso metodologie scientifiche può essere utile. Occorrono dati oggettivi, parametri misurabili e controllabili nel tempo e replicabilità nel tempo della procedura. Da ematologa ho sempre pensato al sangue in questo modo, e l’impegno è quello di standardizzare il più passibile le sacche usate per la trasfusione in termini di contenuti di emoglobina e soluzioni additive”. Quanto al figlio donatore, “potrebbe incappare un’anemia, se periodicamente viene salassato a questo scopo”.

Resta il fatto che l‘immaginario sul sangue è costantemente alimentato. “Al sangue si attribuiscono valenze particolari in alcune culture o religioni, come nel caso dei Testimoni di Geova, che rifiutano le trasfusioni”, ricorda la specialista. Non dimentichiamo che anche “il sangue è un tessuto, e cambia nel caso dei super-longevi”, persone residenti in alcune località, come ad esempio l’Ogliastra, che raggiungono età molto elevate. “Anche il sangue invecchia: sappiamo che il sangue di un neonato è diverso da quello di un ottantenne”, continua la studiosa.

Teofili ricorda che “noi scoraggiamo le donazioni dedicate, non solo per ragioni etiche ma perchè ci possono essere delle reazioni dei linfociti contenuti nel materiale trasfuso contro il ricevente, e l’incidenza è più elevata proprio nel caso di chi riceve sangue dai consanguinei. Donare il sangue, invece, fa bene alla salute, perché la persona si controlla con regolarità e in questo modo può intercettare, e trattare, tanti piccoli o grandi problemi che altrimenti resterebbero silenti o emergerebbero dopo anni. Donare il sangue significa controllarsi, facciamolo anche noi”, conclude.

Il segreto dell’eterna giovinezza

Il genetista invita a contestualizzare. “Stiamo parlando di un approccio americano: dietro ci sono investimenti (e investitori). Gli annunci sono forti perché attirano l’attenzione dei finanziatori. Inoltre occorre dire in questo progetto sono stati coinvolti studiosi validi. Il fatto è che tutte queste ricerche sono complicate – riflette Novelli – perché la longevità è un aspetto complesso e l’invecchiamento è accompagnato da una degenerazione generalizzata di cellule e tessuti”.

Novelli non pensa che nel sangue ci sia la fonte dell’eterna giovinezza. “I geni hanno un peso: ai miei studenti ho sempre detto: ‘Vuoi campare di più? Scegli i genitori giusti’. L’esistenza di famiglie dei centenari mostrano chiaramente che nel Dna c’è qualcosa che fa invecchiare nel modo giusto, ma i geni pesano meno del 10% in questa complessa alchimia”.

“Molti fattori ambientali hanno un peso – elenca il genetista – Pensiamo a fattori fisici, chimici, stile di vita. Poi c’è l’interazione gene-gene: puoi essere portatore di un gene che aumenta il rischio di Parkinson precoce, ma se ne hai uno che lo controbilancia sei protetto”. Insomma, non è solo questione di Dna ma di interazione, perchè “i geni parlano tra loro“, assicura Novelli.

E allora come la mettiamo col sangue? Come ha detto l’ematologa “possono esserci problemi: condividi con un figlio il 50% del Dna e hai comunque delle stimolazioni immunitarie”, riflette Novelli.

L’origine dell’idea

“L’idea non è nuovissima: arriva dagli animali. Ci sono degli studi su esemplari vecchi trasfusi con sangue di soggetti giovani in cui – racconta il genetista – si è visto che in alcuni tessuti c’è un incremento di cellule staminali del ricevente. Ma attenzione: l’effetto può essere temporaneo e non può essere generalizzato”, avverte Novelli.

“Oltretutto sono circa 2000 i geni che hanno a che fare con l’invecchiamento, su un totale di circa 20mila. Parliamo di una quota del 10%: sono troppi e interagiscono fra loro e con l’ambiente. Ecco perché dico che non può essere un solo tessuto, come il sangue, a cambiarli tutti. Mi rendo conto che il sangue è importante – conclude Novelli – ma l’approccio deve essere mirato quando si fa una trasfusione”.

Insomma, se per vivere a lungo il consiglio del genetista è quello di trovare i genitori giusti, chissà cosa ne penserà Talmage, il figlio 17enne di Bryan Johnson.

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