Ambiente invaso dalla plastica, numeri di un’emergenza

plastica mare
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Nelle profondità marine, sui ghiacciai, nei deserti, perfino nello sperma umano. La plastica minaccia ormai da decenni l’ecosistema e la salute umana. “Ogni anno nel mondo 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono nei mari. E questa sta diventando una delle emergenze ambientali più importanti, perchè per anni è stata ignorata”. A sottolinearlo a Fortune Italia è Alessandro Miani, presidente Società Italiana di Medicina Ambientale Sima.

In occasione della Giornata mondiale dell’ambiente 2023 l’esperto invita dunque ad agire, e a farlo “in fretta”. Ma in che modo? “Da un lato occorre ridurre la dispersione di plastica nei mari, dall’altro cercare una transizione verso materiali biodegradabili non di origini plastiche per gli imballaggi”, spiega Miani.

Perchè è pericolosa la plastica

“A contatto con gli agenti naturali, ossia l’acqua salata, il rotolamento sulla terraferma e l’effetto del sole, questo materiale – puntualizza Miani – tende a ridursi in pezzi sempre più piccoli, fino ad arrivare alle micro e alle nanoplastiche. Proprio queste sono scambiate dagli animali acquatici per cibo e quindi vengono ingerite. Ma la plastica forma sull’ambiente una sorta di biofilm che raccoglie tante altre sostanze tossiche e nocive liberate nell’ambiente. Diventa una sorta di ‘carrier’ per tante altre sostenze tossico-nocive”.

Microplastiche nel seme umano

A corroborare l’emergenza microplastiche, un recente studio italiano presentato nei giorni scorsi al Congresso della S.I.R.U. Società Italiana della Riproduzione Umana. Il lavoro, condotto all’interno del progetto EcoFoodFertility di biomonitoraggio umano sul rapporto Ambiente, Alimentazione e Salute Riproduttiva, è apparso in preprint su ‘Science of the Total Environment’.

Il team ha identificato e caratterizzato – tramite l’utilizzo della microspettroscopia Raman, una strumentazione in dotazione presso il Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università Politecnica delle Marche – micro particelle di plastica in ben il 60% dei campioni di liquido seminale di uomini sani. I soggetti erano tutti non fumatori residenti in un’area ad alto impatto ambientale della Campania.

Lo studio è stato guidato da Luigi Montano, UroAndrologo dell’Asl di Salerno, coordinatore di EcoFoodFertility, nonché Past President della Società Italiana della Riproduzione, in collaborazione con i gruppidi ricerca di Oriana Motta dell’Università degli Studi di Salerno, Marina Piscopo, dell’Università Federico II e  Elisabetta Giorgini dell’Università Politecnica delle Marche.

Lo stesso gruppo aveva individuato per la prima volta microplastiche nelle urine di residenti dell’area nord di Napoli e Salerno.

L’esatta composizione chimica delle microplastiche ritrovate nello sperma umano di questo ultimo lavoro fa riferimento a polipropilene (PP), polietilene (PE), polietilene tereftalato (PET), polistirene (PS), polivinilcloruro (PVC), policarbonato (PC), poliossimetilene (POM) e materiale acrilico. “L’origine di questi frammenti potrebbe essere varia e può comprendere cosmetici, detergenti, dentifrici, creme per il viso e il corpo, adesivi, bevande, cibi o anche particelle areodisperse nell’ambiente, per cui le vie di ingresso nell’organismo umano possono avvenire attraverso l’alimentazione, la respirazione ed anche la via cutanea” hanno detto Oriana Motta, Maria Ricciardi ed Elisabetta Giorgini.

Si è notato anche una presenza maggiore di microplastiche in relazione alla più scarsa qualità seminale. Un aspetto che però, secondo i ricercatori, necessita di ulteriori e successivi approfondimenti, considerando che le stesse microplastiche fanno da ‘cavallo di Troia’ per altri tipi di contaminanti ambientali che procurano ulteriori danni agli organi riproduttivi, particolarmente sensibili agli inquinanti chimici.

Specie in pericolo

Dunque c’è anche l’uomo fra le specie minacciate. Guardando agli animali, “le specie che oggi sono interessate a contaminazione da plastica nel mondo sono 700. Consideriamo che le nanoplastiche sono prodotte anche con l’utilizzo delle lavatrici domestiche e che città come Milano e Roma producono circa 300 kg al giorno di fibre nanoplastiche con il lavaggio sintetico. Sono talmente piccole che non esistono sistemi in grado di filtrarli, così passano alle acque interne e quindi al mare”, racconta Miani.

L’impegno del pharma

Abbiamo parlato dell’inquinamento domestico, ma naturalmente c’è anche quello industriale. Su questo fronte non mancano gli esempi virtuosi. “Negli ultimi 10 anni in Italia le aziende farmaceutiche hanno ridotto i consumi energetici del 44%, ma se si considerano i consumi rilevanti per le emissioni atmosferiche, la riduzione è addirittura pari al 51%”, ha detto Marcello Cattani, Presidente di Farmindustria. “Risultati raggiunti grazie a investimenti crescenti in tecnologie verdi. Non è un caso che gli investimenti in protezione per l’ambiente per addetto siano pari al 150% della media nazionale e superiori al 200% per quelli in tecnologie destinate alla prevenzione dell’inquinamento, che azzerano o riducono l’inquinamento alla fonte del processo produttivo. L’88% delle aziende farmaceutiche prevede poi di ridurre i rifiuti prodotti nei prossimi tre o cinque anni, mentre il 55% è già impegnato nell’eliminazione dell’uso della plastica in ogni fase del processo produttivo”.

Veleni anche nell’aria

C’è poi il tema dell’inquinamento dell’aria, “che insieme a quello dell’acqua rappresenta le prime due emergenze sanitarie per l’ambiente e la salute umana. Oltre 7 mln di morti premature nel mondo ogni anno sono dovute all’inquinamento atmosferico, con l’Europa a quota 400mila decessi prematuri e l’Italia prima in Europa con 80mila decessi prematuri l’anno, secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente”, conclude il presidente Sima.

 

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