Se la beta-talassemia fa i conti con la carenza dei medici

beta-talassemia
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Nel mondo dell’invisibile, accade che si modifichi il gene della beta-globina. La mutazione porta ad un calo parziale o addirittura totale della produzione di questa sostanza, componente basilare dell’emoglobina. E nasce l’anemia. Se sul fronte scientifico è ormai ampiamente chiarito il meccanismo che conduce alla beta-talassemia, sul fronte dell’assistenza l’Italia presenta percorsi di eccellenza che possono tuttavia essere intaccati dalla carenza di personale sanitario.

A fare il punto sulla situazione sono gli esperti, assieme ad associazione di pazienti e rappresentanti delle istituzioni, presenti al convegno “Beta-talassemia in Italia: i successi del presente e le sfide del futuro”, tenutosi a Roma. L’incontro, organizzato da Vertex Pharmaceuticals, rappresenta un’occasione di confronto importante per disegnare il presente e soprattutto il futuro del modello assistenziale e di presa in carico per le circa 7.000 persone affette da beta-talassemia, residenti per lo più in alcune Regioni del Sud (Sicilia, Sardegna, Puglia) e del Nord (Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna).

Le stime, va detto,  segnalano che in poco più di sette casi su dieci il quadro clinico sia quello della beta-talassemia major, o talassemia trasfusione-dipendente, con numeri che quindi pongono l’Italia fra i Paesi con la più alta incidenza di pazienti talassemici nel mondo. 

I centri di cura italiani sono un’eccellenza, ma talvolta la scarsità del personale mette a rischio l’assistenza. Troppi pochi medici a fronte di pazienti complessi, è quanto emerge dalla ricerca realizzata da IQVIA presentata durante l’incontro. Il 18% dei centri dispone, infatti, di 1 solo medico e i centri più grandi hanno in carico il 70% dei pazienti. Inoltre, ogni centro medio-grande ha in carico quasi 10 volte il numero di pazienti rispetto ai centri medio-piccoli (115 vs 12,6 pz), con solo 1 medico in più nell’organico (4 vs 3 medici). 

“L’Italia è in prima linea nella lotta alla talassemia, grazie all’impegno e la competenza dei nostri clinici rappresentiamo l’eccellenza nel trattamento dei pazienti talassemici, ma possiamo fare ancora di più – è il commento dell’onorevole Luciano Ciocchetti, vicepresidente della Commissione Affari Sociali, Camera dei Deputati – Spesso i clinici si trovano a dover trattare molti pazienti e sta alla politica aiutarli garantendo maggiori risorse”. 

Per questo occorre sicuramente ragionare in termini di risposte ai bisogni dei pazienti, che spesso sono particolarmente gravosi in termini di richieste assistenziali. Un dato per tutti: si stima che i pazienti che dipendono dalle trasfusioni abbiano bisogno di 1-3 sacche di sangue o più al mese e che si tratti di pazienti particolarmente fragili: l’85% presenta, oltre alla beta-talassemia anche altre patologie dovute a complicanze della malattia o correlate alla terapia. La loro gestione è, quindi, complessa e la ricerca IQVIA sottolinea come i Centri siano un punto di riferimento fondamentale per i pazienti, sia per le terapie specifiche sia per la gestione della malattia, dalle pratiche burocratiche al supporto psicologico, per arrivare alla presa in carico delle altre problematiche, come quelle cardiovascolari, di fertilità, oncologiche. 

Occorre quindi rispondere alle necessità delle strutture. Lo conferma Raffaella Origa, presidente Site (Società Italiana Talassemie ed Emoglobinopatie), segnalando comunque come la risposta dei centri in Italia sia idi altissimo livello. “Seppur in presenza di queste difficoltà organizzative, lo standard di cura in Italia è fra i migliori al mondo – è il suo commento. I pazienti sono trattati con puntualità e le strutture sono di buon livello. Inoltre, con l’istituzione della Rete Nazionale Talassemie da poco approvata da parte della Conferenza Stato Regioni, crediamo che la gestione dei pazienti migliorerà ulteriormente con minori differenze tra regione e regione”.

Certo è che c’è ancora da fare. E su questo occorre impegnarsi, anche alla luce di uno studio che mostra come comunque, seppur con una gestione sempre migliore della complessità dei pazienti che necessitano di trasfusioni, i tassi di mortalità di questi malati permangano ancora più alti rispetto alla media della popolazione.

In particolare dall’analisi dei dati emerge come le complicanze più frequenti nei pazienti siano endocrine (19,2%), epatiche (14,5%), tumori maligni (13,1%), complicanze cardiopolmonari (12,1%) e muscoloscheletriche (10,3%). “Questi dati dimostrano che nonostante l’aumentata sopravvivenza dei pazienti talassemici c’è ancora della strada da percorrere – fa sapere Gianluca Forni, direttore del centro microcitemia e anemie congenite dell’ospedale Galliera di Genova – I progressi fatti nel trattamento della patologia sono da celebrare è però nostro dovere cercare di migliorare ancora la qualità della vita di questi pazienti”.

 

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