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Fecondazione, perché l’embrione non si impianta

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E’ un punto interrogativo che arrovella esperti di fecondazione assistita e coppie di aspiranti genitori. Perchè in alcuni casi, anche se tutto è stato fatto a regola d’arte, l’embrione non si impianta? A cercare di far luce su questo mistero sono i ricercatori del gruppo Genera e di Juno Genetics hanno portato a termine una meta-analisi ad hoc.

Il lavoro, pubblicato anche su ‘Human Reproduction Update’, sarà illustrato al 39esimo congresso della Società europea di Medicina della riproduzione ed embriologia (Eshre) in corso a Copenhagen. A firmarlo una ‘vecchia conoscenza’ di Fortune Italia: Danilo Cimadomo, ex 40 Under 40 e responsabile Ricerca e Sviluppo Genera, insieme a Laura Rienzi (responsabile Ricerca e Sviluppo) e Antonio Capalbo (Chief Scientific Officer di Juno Genetics). I ricercatori hanno collaborato con colleghi americani della Columbia University di New York e dell’università Federico II di Napoli, analizzando migliaia di lavori presenti nella letteratura scientifica.

“Oggi la scienza ci consente di arrivare fino a un certo limite per cercare il successo nella Pma: lo strumento massimo che abbiamo è poter arrivare a coltivare gli embrioni a blastocisti e poi procedere con il test genetico pre-impianto – spiega Rienzi – un embrione euploide (cioè risultato cromosomicamente sano al test pre-impianto) ha fra il 45 e il 65% di chance di essere un bambino sano che nasce. Viceversa, c’è un 45-55% di embrioni euploidi che non si impianta. Questo range di non impianto è la ‘scatola nera’. Per cercare di aprirla e di descriverne il contenuto abbiamo passato in rassegna tutti i lavori precedenti che avevano investigato i fattori associati al fallimento di impianto di embrioni euploidi. Abbiamo screenato oltre 1.600 studi e ne abbiamo individuati 416 che rientravano nei parametri di valutazione attendibili per rispondere a questa domanda”.

Questi 416 studi sono stati divisi a seconda di quale fattore andassero ad approfondire: embrionale, materno, paterno, clinico. Tutto questo materiale è stato analizzato statisticamente. “Sono state individuate diverse caratteristiche che – afferma Cimadomo – hanno una maggiore influenza sul mancato impianto: a livello dell’embrione, una scarsa qualità del trofoectoderma o della blastocisti in toto, e uno sviluppo più lento; anche in presenza di blastocisti euploide, in donne ‘over 38’ si ha una lieve ma significativa riduzione del tasso di successo; un’esperienza pregressa di fallimento d’impianto; l’obesità. Nulla è emerso a livello di fattore maschile, mentre dal punto di vista clinico è apparso meglio congelare l’embrione piuttosto che allungare di un giorno la coltura in attesa dell’esito diagnostico per eseguire il transfer a fresco. Ancora, una tecnica di biopsia meno invasiva che non prevede la rimozione dell’embrione dall’incubatore in terza giornata di coltura, è apparsa associata con migliori risultati in termini di gravidanza”.

Questi fattori “sono risultati significativi al fine di comprendere il perché di un fallimento: da domani, qualora si voglia investigare ulteriori fattori associati con il mancato impianto degli embrioni euploidi, non si potrà prescindere dal controllare prima questi elementi”. Un passo avanti verso trattamenti di fecondazione assistita più efficaci.

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