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Malattie neurodegenerative, lo zafferano e il segreto della resilienza

zafferano

Resilienza. Negli ultimi anni, stanti le necessità sociali ed economiche di adattarci alla nuova normalità imposta dalla pandemia Covid, questa parola è diventata patrimonio del lessico comune. Pensate solamente a quante volte parliamo di Pnrr, focalizzando l’attenzione proprio su questo termine. Per un attimo, però, sganciamoci dalle teorie e dalle stime macroeconomiche per entrare nel mondo dell’ultrapiccolo. Perché anche nella ricerca che sfida le malattie neurodegenerative ci sono ipotesi di lavoro che vedono in composti naturali la capacità di indurre “resilienza” nell’organismo. Il protagonista di questi meccanismi è lo zafferano.

Secondo alcune ricerche, sarebbe in grado di favorire proprio la capacità dell’organismo di reagire adeguatamente alla patologia.  A portare avanti queste ricerche ormai da diversi anni è l’equipe di Silvia Bisti, laureata in Scienze Biologiche all’Università di Pisa dove si è specializzata in Neurofisiologia della visione.

Nel corso della sua carriera accademica, iniziata come ricercatrice dell’Istituto di Neurofisiologia del Cnr a Pisa, ha preso parte a svariati progetti scientifici in Italia e all’estero. E da oltre vent’anni ha concentrato la sua attività di ricerca sui meccanismi coinvolti nella degenerazione e nella protezione della retina e sullo studio delle proprietà dello zafferano nel rallentare la progressione dei processi neurodegenerativi.

Non solo. Grazie alla stretta collaborazione tra laboratori con competenze sia di neuroscienze che di chimica analitica, si è arrivati a vedere come la composizione chimica dello zafferano sia fondamentale per garantire l’efficacia di un possibile, futuro trattamento per patologie neurodegenerative e di conseguenza isolare la composizione ottimale.

E’ nato così lo zafferano Repron (brevetto di Hortus Novus Srl, socio di minoranza e partner di Bio Aurum, startup di cui la stessa Bisti è direttrice scientifica). Dalla natura, insomma, prende il via un’avventura che diventa un modello per portare la scienza dal laboratorio fino agli sviluppi per future terapie e trattamenti preventivi.

Bio Aurum, startup di ricerca medica, viene sostenuta da Cube Labs (oltre che da CDP Venture), venture builder italiano nel settore delle Tecnologie Healthcare, recentemente quotato su EGM Pro. Cube Labs crea e sviluppa startup a partire da progetti accademici di Ricerca & sviluppo con un elevato potenziale di crescita. La selezione dei progetti nasce in partnership con l’Istituto Nazionale Biostrutture e Biosistemi (INBB), principale consorzio interuniversitario italiano nel campo Life Science a cui aderiscono 24 atenei pubblici e più di 650 ricercatori.

Dal 2018 Cube Labs ha costituito 12 startup biotech e medtech, tra cui appunto Bio Aurum. L’ipotesi di lavoro che si sta valutando mira a sviluppare nuove soluzioni diagnostiche e terapeutiche, basate sempre sulle proprietà dello zafferano, per patologie neurodegenerative.

Perché l’oftalmologia, campo in cui già ci sono stati risultati dell’impiego dello zafferano, è vicinissima alla neurologia, con le interconnessioni tra vista e cervello. Bio Aurum punta a creare anche dispositivi che possano essere impiegati anche presso il medico di medicina generale per la diagnosi precoce di deficit neurologici.

Tutto, come si è detto, parte dall’occhio. Qualche anno fa la stessa Bisti ha coordinato insieme a Benedetto Falsini del Policlinico Gemelli di Roma uno studio clinico, finanziato da Telethon e pubblicato su ‘Nutrients’, che ha dimostrato l’efficacia dello zafferano Repron nel contrastare una grave malattia degenerativa della vista, la sindrome di Stargardt. 

Si tratta di una degenerazione ereditaria della macula il centro della retina. I sintomi consistono soprattutto nella riduzione della visione centrale (quella che consente di riconoscere i visi, leggere, guidare etc), che inizia durante l’adolescenza o, comunque, in giovane età (prima e seconda decade di vita).

Inoltre i pazienti possono lamentare disturbi nella percezione dei colori (discromatopsia), macchie nere nel campo visivo (scotomi centrali) e intolleranza alla luce (fotofobia).

La malattia è causata da mutazioni del gene ABCA4, il cui malfunzionamento provoca disfunzione e perdita delle cellule retiniche (i cosiddetti fotorecettori coni e bastoncelli). La malattia compare quando l’individuo ha entrambe le copie del gene mutate. La progressione della malattia è legata a fenomeni neuroinfiammatori indotti dal crescente stress ossidativo.

E la capacità dello zafferano di favorire la resilienza e la reazione conseguente dell’organismo rappresenta la chiave per agire su questi fattori. D’altro canto, nel tempo, le possibili applicazioni dello zafferano nella ricerca medica sono state molteplici.

Ad esempio, in chemioprevenzione, si è puntato a valutare gli effetti di dosi precostituite di estratti di curcuma e zafferano per ridurre il rischio di trasformazione degli adenomi del colon – lesioni benigne – in tumori. Non solo.

Qualche tempo fa una ricerca sulle cellule (quindi estremamente preliminare) condotta da Antonio Orlacchio, direttore del Laboratorio di Neurogenetica del Centro europeo di ricerca sul cervello (Cerc) dell’Irccs Santa Lucia di Roma e professore di Genetica medica all’Università di Perugia, pubblicata sul Journal of the Neurological Sciences, ha fatto ipotizzare un’azione in provetta dei componenti dell’estratto della spezia sulla degradazione della beta-amiloide, la proteina tossica principale indiziata di causare la malattia di Alzheimer. Ora quel filone prosegue. Per una startup che guarda al futuro.

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