Tumore, la nuova sfida: diagnosticarlo prima che diventi tale

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Negli Usa e in Europa crescono gli studi per intercettare il tumore prima ancora che diventi tale, in uno sforzo di ‘interception’ globale che anticipa quello della diagnosi precoce, mirato ai singoli tumori. E intanto arrivano sul mercato i primi test commerciali improntati a questa filosofia.

La storia di tutti i tumori inizia da un evento mutazionale, cioè dalla modificazione del Dna di una cellula che inizia a proliferare in modo incontrollato, eludendo il controllo del sistema immunitario. Sfruttando alcune parti dell’organismo, poi, il tumore cresce e metastatizza. La guerra contro il cancro, iniziata negli anni ’40 con la chemioterapia (la prima introdotta furono le mostarde azotate) si è arricchita in tempi più recenti dei farmaci a bersaglio molecolare che colpiscono gli oncogeni e i fattori di crescita tumorali (dall’herceptin per HER-2, al sotorasib per la mutazione KRAS G12C) fino ai farmaci che hanno allargato lo sguardo a quello che c’è intorno e all’interno del tumore stesso, al suo microambiente, fatto di infiltrati linfocitari, fibroblasti, cellule che provvedono all’angiogenesi (alla costruzione di vasi), portando alla messa a punto di farmaci anti-angiogenici e all’immunoterapia ‘check-point’, che rimuove i freni imposti dal tumore alle nostre difese immunitarie.

Quest’ultima sembrava proprio l’uovo di Colombo per sconfiggere i tumori, facendo leva sul nostro sistema immunitario. Ma non è stato così perché,sebbene tutti i tumori siano ‘infiltrati’ di linfociti, solo alcuni (e non sempre o non a lungo) rispondono all’immunoterapia (melanoma, polmone, colon retto, rene, ecc.). E la ricerca del magic bullet (ammesso che esista) va avanti. Un altro capitolo che si sta aprendo è quello che ha fatto scoprire che il tumore riesce a plagiare alcune cellule del sistema immune (come le natural killer) facendole coalizzare e polarizzare per aiutare il tumore stesso.

C’è poi un altro importantissimo player in tutto questo discorso, il microbioma, i miliardi di germi che popolano in particolare l’intestino, talmente importanti da influenzare anche la risposta all’immunoterapia.

Certo, i progressi della terapia si sono fatti sentire sulle curve di sopravvivenza delle persone con un tumore. Ma la battaglia contro il cancro è tutt’altro che vinta purtroppo. “È necessario cambiare il paradigma – afferma la professoressa Adriana Albini dello Ieo, responsabile del Working Group Cancer Prevention dell’American Association for Cancer Research (AACR) – e agire prima. Oggi vediamo il tumore quando è già nella fase di malattia attiva. È necessario intervenire ancor più precocemente e individuare i pazienti a rischio, prima della comparsa del tumore. E questo è un problema di public health, prima ancora che clinico”.

La prevenzione ha fatto passi da gigante, portando l’aspettativa di vita dai 50 anni dell’inizio del ‘900 agli attuali 85. Un progresso dovuto ai vaccini, agli antibiotici, ad una migliore cura delle malattie gastriche e respiratorie. Ma tanto resta da fare sul fronte cardiovascolare e dei tumori.

“A livello cardiovascolare si è però più avanti – ammette Albini – anche grazie alle carte del rischio che noi, anni fa, avevamo proposto di realizzare anche per i tumori. Dal 1995 al 2019, sono stati guadagnati 2,26 anni di aspettativa di vita negli uomini (1,81 nelle donne) per la riduzione delle malattie cardiovascolari, ma solo 1,07 (0,54 nelle donne) per il cancro. Ma la prevenzione per i tumori, al di là dei vaccini anti-HBV e HPV e lo smettere di fumare e di ridurre l’alcol, è ancora l’elefante nella stanza”.

Certo, uno stile di vita fatto di dieta sana e attività fisica, riesce a fare tanto. Ma non basta, è necessario fare ‘interception’, cioè spostare ancora più indietro le lancette della prevenzione, andando ad intercettare i primi segnali di qualcosa (early detection) che sta per accadere, per contrastarlo. È quanto accadeva nel film ‘Minority Report’ dove la polizia arrestava i ‘futuri’ criminali, prima ancora che commettessero un reato, intercettando le loro intenzioni di delinquere.

“Early detection – spiega la Albini – consiste nel ricercare nuovi marcatori e nello studiare il microambiente. Esistono al momento due paradigmi di rilevamento dei tumori, il cosiddetto ‘one test-one cancer’, che studia un tumore alla volta e l’approccio ‘one test-many cancer’ che con un’unica ‘fotografia’ va a ricercare la presenza di tanti diversi tipi di tumore, cioè opera una multi-cancer detection attraverso l’analisi del DNA tumorale circolante, diverso per ogni tumore”.

Negli Usa, il National Cancer Institute ha avviato un programma di ricerca dedicato appunto alla Multi-Cancer Detection (MCD), che al momento sta vagliando una serie di test sperimentali per la rilevazione di un ‘non tumore’, cioè di un tumore così iniziale, che potrebbe non diventare mai un problema per il paziente. I test al vaglio degli scienziati per ora sono quasi tutti genetici (Dna  libero non cellulare, next-generation sequencing, database di metilazione del Dna) e i risultati, analizzati con il machine learning porteranno alla realizzazione di un ‘Atlante’ del genoma ‘cell-free’ circolante, costruito su 15mila partecipanti, con o senza tumori.

“All’interno dell’AACR – ricorda la dottoressa Albini – ho fondato un Working Group di Cancer Prevention che auspica tra l’altro l’incorporazione di concetti biochimici e molecolari e di tecniche, oltre che di nuovi strumenti per l’analisi dei dati, all’interno di studi di prevenzione tumorale”.

Anche i primi due pilastri del Piano Europeo contro il Cancro sono la prevenzione e l’individuazione precoce, attraverso nuovi screening per il tumore della prostata (Praise-U), del polmone (Solace) e dello stomaco (Togas).

Ma riuscire a intercettare il cancro prima che si sviluppi, mettendo una persona di fronte alla sua carta d’identità del rischio può diventare anche un elemento di forte motivazione ad aderire con più decisione alla prevenzione, facendo una vita più sana a tavola e tutto il resto del giorno.

“Ma in futuro – conclude la dottoressa Albini – si potrà mettere a punto una chemio-prevenzione specifica con dei nutraceutici, cioè una serie di supplementi vitaminici e di sostanze anti-ossidanti derivanti dagli alimenti (vitamina D, catechine, resveratrolo, antocianine, fibre, omega-3, vitamine B e C, beta-carotene, licopene, curcumina, ecc).”

Intanto cominciano ad arrivare sul mercato dei test ‘allargati’, per intercettare il tumore sul nascere. Uno di questi, il protocollo Helixafe, è frutto della ricerca italiana, di uno spin-off dell’Università Tor Vergata di Roma.

“Si tratta di una vera e propria rivoluzione – commenta la professoressa Rosanna Berardi, Ordinario di Oncologia all’Università Politecnica delle Marche e componente del direttivo Aiom – che trasforma il punto di vista sull’approccio ai tumori, finora incentrato sulla diagnosi precoce e sulle terapie. Come per le malattie cardiovascolari, il controllo di pressione e colesterolo sono preziosi strumenti di prevenzione, possiamo oggi cominciare a ricercare le alterazioni che preludono all’insorgenza dei tumori, con l’analisi dell’instabilità genomica, il controllo dell’infiammazione cronica, dello squilibrio del sistema immunitario e della flora batterica intestinale”.

Sono i punti che il protocollo Helifaxe, già ribattezzato ‘il quadrilatero della prevenzione tumorale’, va ad intercettare con il suo pacchetto di test: Cytobalance per l’infiammazione cronica, attraverso lo studio di 9 citochine), Immunebalance per gli squilibri immunitari (valutazione del rapporto CD4/CD8, monociti, ecc), Microbalance per lo studio delle alterazioni del microbioma (attraverso il sequenziamento del microbioma su un campione di feci) e Telobalance per la valutazione dei telomeri.

“Le tecniche di sequenziamento del Dna libero circolante – spiega Luca Quagliata, Biotecnologo molecolare dell’Università di Heidelberg, Germania- rappresentano una svolta epocale nella prevenzione de cancro perché consentono la valutazione delle conseguenze dovute all’impatto genotossico accumulato nel Dna che può portare al cancro, come studiato dallo spin-off dell’Università di Tor Vergata”.

L’argomento è stato oggetto di una Consensus Conference, promossa da Bioscience Foundation, un’associazione no profit nata dalla collaborazione tra Università Tor Vergata di Roma e con sede presso l’Ospedale San Raffaele di Milano.

“Il nostro – sottolinea Giuseppe Mucci, presidente di Bioscience Foundation – è il primo convegno nazionale di confronto sulla prevenzione attiva dei tumori. Da qui partirà un lungo percorso educazionale e culturale, rivolto a medici, istituzioni, associazioni pazienti e popolazione.”

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