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Il caso di Indi, la cittadinanza e la distanza tra GB e Italia

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Garantire la migliore assistenza possibile a un bimbo malato anche quando non c’è opportunità di cura, o interrompere terapie che comporterebbero per lui o lei solo ulteriori, inutili sofferenze? Due visioni opposte, per così dire, quelle di Italia e Gran Bretagna di fronte a questo dilemma, come hanno mostrato in passato le vicende di Charlie Gard e Alfie Evans.

Oggi lo testimonia la storia di Indi Gregory, neonata inglese di 8 mesi affetta da una rara patologia mitocondriale incurabile. Per medici e tribunali britannici la prosecuzione delle cure non sarebbe nel migliore interesse della piccola, alla quale l’Alta corte di Londra aveva anche negato il trasferimento in Italia. Il tempo di Indi, insomma, sarebbe finito. Ma i genitori e i nonni si oppongono con forza, convinti che in qualche modo la bimba reagisca alle cure e desiderosi di proseguire l’assistenza nel nostro Paese.

Un braccio di ferro sbloccato ora dall’intervento del Governo italiano che, conferendo nel Cdm di oggi la cittadinanza, potrebbe permettere il trasferimento della bimba all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. “Il mio cuore si riempie di gioia per il fatto che gli italiani hanno ridato a Claire (la mamma di Indi, ndr) e a me speranza e fiducia nell’umanità. Gli italiani ci hanno mostrato attenzione e sostegno amorevole e vorrei che le autorità del Regno Unito facessero lo stesso – ha commentato a caldo il padre di Indi, Dean Gregory del Derbyshire, su ‘Christian Concern’ – Sono molto orgoglioso di dire che Indi ha la cittadinanza italiana e ringrazio il governo e il popolo italiano dal profondo del mio cuore”.

La posizione della famiglia

Fin dalla nascita, nel febbraio scorso, Indi è ricoverata nell’unità di Terapia intensiva pediatrica del Queen’s Medical Center, a Nottingham. La bimba è affetta da sindrome da deperimento mitocondriale, una malattia genetica molto rara per la quale al momento non esiste una cura. Il padre di Indi, insieme a nonni e familiari, si batte da mesi con il Trust degli ospedali universitari di Nottingham: i sanitari inglesi restano del parere di interromprere la terapia. Ma i genitori, supportati dal Christian Legal Centre, non ci stanno: nonostante la disabilità, per loro India è una bambina in grado di sperimentare la felicità.

La disponibilità dell’ospedale italiano

Sempre il sito britannico Christian Concern riporta il contenuto di una lettera ricevuta dal signor Gregory domenica sera da Tiziano Onesti, presidente del Bambino Gesù, struttura che sarebbe “pronta ad accogliere sua figlia Indi Gregory”, per ricevere le cure di cui necessita presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, “con effetto immediato. Abbiamo ricevuto conferma dal Governo italiano che si assumerà la responsabilità del finanziamento delle cure di Indi presso l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù”, si legge nel testo della missiva.

 La decisione del Cdm

Il Consiglio dei ministri si è riunito oggi con urgenza e ha ‘sparigliato le carte’: a Indi Gregory è stata concessa la cittadinanza italiana. Questo le consentirebbe di lasciare l’ospedale di Nottingham, dove altrimenti le sarebbero state staccate le macchine che la tengono in vita. Il Cdm ha conferito la cittadinanza alla piccola ai sensi dell’articolo 9 comma 2 della legge 5 febbraio 1992, n. 91.

Le malattie mitocondriali

Queste patologie sono causate da alterazioni del Dna, sia nucleare che mitocondriale, ma solo la metà dei pazienti riceve una diagnosi genetica e non esistono ancora terapie mirate. “La prevalenza stimata delle malattie mitocondriali – ha detto la professoressa Serenella Servidei, direttore della Uoc Neurofisiopatologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs e professore associato di Neurologia all’Università Cattolica, in un recente incontro dedicato a queste patologie – è di circa 1 persona su 4.300. Ne esistono forme a comparsa precoce (neonati o bambini) e altre ad esordio nell’età adulta. Ad essere colpita è la catena respiratoria mitocondriale, organelli fondamentali che fungono da ‘centrale elettrica’ della cellula, fornendole energia e garantendone il funzionamento”.

Se i mitocondri sono colpiti da queste malattie, si creano dei ‘black out’ energetici a livello delle singole cellule, che vanno a interessare in modo più o meno grave diversi organi e apparati, dando luogo a una moltitudine di manifestazioni clinche. “Si tratta dunque di un gruppo estremamente eterogeneo di malattie – ha precisato Guido Alessandro Primiano, dirigente medico dell’Unità Operativa Complessa di Neurofisiopatologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli e docente di Neurologia all’Università Cattolica – che possono interessare, oltre ai muscoli, il sistema nervoso centrale (stroke metabolico, atassia, emicrania, epilessia, ritardo psicomotorio, disturbi del movimento, ecc) e periferico (neuropatie  periferiche), il cuore (cardiomiopatie, aritmie),  i polmoni (insufficienza respiratoria, disturbi respiratori del sonno) la vista (oftalmoplegia, ptosi palpebrale, retinopatia, neuropatia ottica) e l’udito (ipoacusia neurosensoriale), i reni, il sistema endocrino (diabete ‘mitocondriale’, bassa statura, ipoparatiroidismo), l’apparato gastrointestinale (malassorbimento, dismotilità intestinale, disfunzioni epatiche).

I precedenti

Non è la prima volta che ci troviamo di fronte a casi come quello di Indi, in cui la giustizia e la medicina britanniche stabiliscono di interrompere l’assistenza vitale “nel miglior interesse del paziente” affetto da patologie incurabili. Innescando uno scontro con i parenti dei giovanissimi pazienti, come è stato per Charlie Gard, Alfie Evans o, più di recente, Archie Battersbee.

Per tutti loro – dopo una lunga battaglia legale con le famiglie – la giustizia britannica ha disposto la sospensione dei trattamenti vitali. Trattamenti valutati come motivo di inutili sofferenze da medici e giudici d’Oltremanica, ma invocati come un gesto di umanità e di speranza dai genitori come Dean Gregory. Si tratta di vicende che scuotono le coscienze. Di sicuro in questi casi è venuta meno quell’alleanza terapeutica che dovrebbe far sentire familiari e curanti dalla stessa parte.

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