Cattani (Farmindustria): “Servono scelte coraggiose”

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Il made in Italy che il mondo ci invidia non è solo fatto di moda, food e motori. Basta aprire l’armadietto dei medicinali presente in ogni casa e guardare da dove arrivano le confezioni dei vostri farmaci per capire che, fra i ‘gioielli’ della ricerca e della produzione italiane, c’è anche la farmaceutica. Un settore forse meno ‘glam’, ma decisamente prezioso: dal 1951 nuovi farmaci, ricerca e progressi della medicina hanno contribuito ad allungare la nostra aspettativa di vita di tre mesi l’anno, 6 ore al giorno.

“Siamo un driver di innovazione e di economia per il Paese. Abbiamo una missione come settore, dalla ricerca e sviluppo alla produzione, che punta sull’innovazione. Ma siamo anche consapevoli che questo è un momento cruciale: servono poche scelte coraggiose per favorire l’attrazione degli investimenti nel settore e fare la differenza. Perché l’Italia ha un drammatico bisogno di Pil e il pharma può fare la sua parte”.

Parola di Marcello Cattani, presidente di Farmindustria (nella foto in evidenza), associazione che conta circa 200 imprese – 40% a capitale nazionale, 60% a capitale estero – e oltre 120 stabilimenti su tutto il territorio nazionale, con 68.600 addetti altamente qualificati (per il 44% donne).

Investire nella farmaceutica paga

“Il settore è in salute. E questo fa bene al Paese”, sottolinea Cattani citando uno studio condotto (ormai qualche anno fa) dall’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari (Altems) dell’Università Cattolica in collaborazione con Farmindustria. Per ogni euro investito dalle case farmaceutiche negli studi clinici, il Servizio sanitario nazionale (Ssn) ottiene infatti un vantaggio economico di 2,77 euro, tra investimenti e costi evitati. Insomma, l’orgoglio del pharma tricolore poggia sui numeri. Parliamo di qualcosa come “49 mld di euro di produzione nel 2022, di cui 47,6 mld di export. E investimenti da 3,3 mld in produzione e R&S”. Oltretutto quella farmaceutica è un’occupazione di qualità, che ha segnato un +9% in 5 anni, soprattutto tra giovani (+16%) e donne (+13%).

Il contributo del pharma, diretto e indiretto, è pari a circa il 2% del Pil del Paese. “Ma se guardiamo ai prossimi 5 anni potremmo contribuire con un altro punto percentuale alla crescita. Questo però solo se il Governo avrà il coraggio di cambiare le regole del settore”. La competizione è piuttosto accesa.  “Siamo in una posizione di leadership rispetto agli altri Paesi europei e la nostra volontà è quella di restare leader. Ma – scandisce Cattani – sono fondamentali nuove regole. La collaborazione avviata con questo esecutivo è positiva e va proprio in questa direzione”.

 

È tempo di cambiamenti

Negli ultimi mesi diverse imprese del settore hanno annunciato importanti investimenti nel nostro Paese. È il caso di Msd, Eli Lilly e Novartis. Ma allora è diventato più semplice attrarre capitali? “Non ancora, ma l’Italia ha un punto di forza, a prescindere dagli strumenti che stiamo mettendo a punto nel Tavolo della farmaceutica insieme al Mimit e al ministero della Salute. E questo punto di forza è la competenza: l’Italia da Nord a Sud ha una serie di professionalità evolute nei vari distretti farmaceutici, dalla Lombardia all’Emilia, dalla Toscana al Lazio, passando per Marche, Abruzzo, Campania e Sicilia. Tutto il Paese, di fatto, offre competenze essenziali in un settore che vive di innovazione digitale, tecnologia, AI, ricerca e scienza. L’auspicio è che i frutti del tavolo della farmaceutica creato dal ministro Urso con il collega Schillaci ci diano, nel primo semestre dell’anno prossimo – puntualizza Cattani – gli strumenti per renderci competitivi nell’attrarre investimenti italiani e stranieri. Ma non è solo un tema secco di incentivi: un nodo fondamentale per renderci più competitivi è la riforma di Aifa”.

L’Agenzia di via del Tritone

Ormai su questo fronte l’attesa dura da mesi, ma la nuova Aifa è uno snodo fondamentale. Abbiamo tempi di accesso ai nuovi farmaci troppo lunghi, “14 mesi rispetto ai 2 della Germania, con una ‘questione regionale’ che oggi vede territori più rapidi e altri più lenti: a seconda della residenza – dice il presidente di Farmindustria – c’è una discriminazione nella possibilità di cura che oggi non è più tollerabile. Ecco, accelerare l’accesso e valorizzare il farmaco come un investimento e non un semplice costo – aggiunge – condizionerà il futuro del pharma” in Italia.

L’innovazione possibile per il settore “è anche di tipo industriale, pensiamo all’efficienza delle produzioni e alla capacità di garantire anche quei farmaci che oggi possono scontare uno stato di carenza”. Il tema è delicato: “C’è una dipendenza di principi attivi da Cina e India, ma soprattutto sono aumentati i costi della produzione. Quindi io vedo un tema di accesso primario e uno secondario, legato alla sostenibilità economica di farmaci di largo consumo che sono anche salvavita, ma che scelte scellerate del passato hanno ‘compromesso’, rendendo insostenibile la capacità produttiva”.

Questione di scelte

C’è poi il ritornello degli extra-profitti: le imprese farmaceutiche nella vulgata popolare pagano dazio in termini di popolarità? Cattani non è d’accordo. “Le indagini sottolineano che dopo Covid la salute è ritenuta l’aspetto più importante dai cittadini, anche se c’è il timore che molti abbiano dimenticato la lezione della pandemia. Credo sia ideologico e populistico parlare di extra-profitti nel pharma. Il nostro settore oltre alle tasse paga il payback*, che l’anno prossimo proietta 1,8 mld (calcolati prima delle novità annunciate in Manovra, ndr).
La nostra è una filiera industriale che non solo traina l’export, ma anche la produzione e le assunzioni, nonostante una tassazione che concorre a rendere il sistema Paese meno attrattivo. Noi – ribadisce Cattani – chiediamo al Governo scelte coraggiose per valorizzare l’innovazione farmaceutica. L’Europa in questo momento ha deciso di avere una visione anti-industriale, ma l’Italia non se lo può permettere”.

In gioco, oltre alla salute dei cittadini, c’è il futuro delle competenze. “Noi siamo per una maggiore sovranità nella produzione dei farmaci, ma dobbiamo essere consapevoli del fatto che oggi il 97% di quello che facciamo in Italia” va all’estero. E che dall’estero arrivano i principi attivi. “Negli anni passati è mancata una visione strategica e ora ne stiamo vedendo i frutti. Il nostro impegno è quello di collaborare con ministero della Salute, degli Esteri, il Mimit e quello della Ricerca per una visione che concili gli interessi del nostro Paese. Il Governo ha fatto molto per la salute: con la riforma dell’Aifa che ora deve concludersi, con il recepimento del regolamento europeo sulla ricerca clinica che era pending dal 2014 e con una posizione molto chiara e netta – oltreché contraria a quella della Commissione europea – sulla proprietà intellettuale nell’ambito farmaceutico. Questi sono atti concreti, pragmatici e posizioni politiche forti anche all’estero. Un atteggiamento coerente con quanto dichiarato dalla presidente Meloni per tutelare le filiere strategiche per la sicurezza dell’Italia”.

L’impatto della permacrisi

Dopo Covid-19, che ha fatto esplodere la domanda di farmaci e vaccini su scala mondiale, Cina e Stati Uniti hanno reagito con investimenti e nuove regole sulla proprietà intellettuale. “Poi la crisi energetica ed economica ha avuto riflessi sul pharma, perché approvvigionarsi di ingredienti attivi farmaceutici in Cina e India è diventato più difficile, oggi registriamo un 30% di aumento di costi produttivi legato a energia, ingredienti attivi e imballaggi. E la debolezza dell’euro non aiuta. Avere i prezzi più bassi per i farmaci rimborsati rispetto a Germania, Francia e Spagna è il frutto di scelte scellerate – ribadisce Cattani – che stanno mettendo in crisi la possibilità di produrre farmaci come diuretici, antibiotici, antipertensivi, anticoagulanti e antinfiammatori”. Medicinali che hanno prezzi troppo bassi e faticano a resistere all’aumento dei costi.

“Questo – dice Cattani – sta rendendone insostenibile la produzione”. Ecco, “di fronte ai tempi lunghi della guerra e alle possibili nuove crisi (quando è stata realizzata l’intervista ancora non c’era stato l’attacco a Israele, ndr) il futuro di questi medicinali è allarmante”.

Le priorità

Per Cattani è fondamentare completare la riforma di Aifa puntando sull’efficienza dei tempi di approvazione e sul dialogo precoce e strutturato con le imprese, “per rendere il cammino dei dossier sui farmaci più agile”. Ma occorre anche ragionare in maniera trasversale con i ministeri coinvolti sulla “rivalorizzazione di intere categorie di medicinali, per consentire di continuarne la produzione nel nostro Paese. Questo significa aumento dei prezzi di rimborso, cosa che potrebbe essere fatta rapidamente”. Fondamentale, secondo il vertice di Farmindustria, anche il risultato del Tavolo della farmaceutica per realizzare nuovi impianti in Italia, che “mediamente richiedono 5 anni dalla posa del primo mattone alle certificazioni necessarie per poter esportare nel mondo”.

Quanto alla Legge di bilancio, si prevede “un incremento del Fondo sanitario” di 3 mld “e questo è un dato assolutamente positivo. Crediamo che, nel perimetro economico attuale del Paese”, ciò sia “un segnale importante nella direzione giusta. Probabilmente ci sarebbe bisogno di ulteriori fondi”. La Manovra (al momento di andare in stampa circolano ancora le bozze, ndr) alza il tetto della spesa farmaceutica diretta. Una misura che avrà l’effetto di ridurre il payback (vedi box) dovuto dalle aziende. Il tetto della spesa farmaceutica per gli acquisti diretti è rideterminato nella misura dell‘8,6% dal 2024. La rimodulazione dei tetti non comporta oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. ‘Ritocco’ letto come “un passo nella direzione giusta” dal presidente di Farmindustria. Convinto però che “occorrerà affrontare e superare il payback, in un percorso che implica una visione chiara”. Insomma, il progetto della politica deve tradursi in azioni. “Bisogna guardare all’innovazione come un asset strategico. Abbiamo di fronte a noi un’epoca di grandi transizioni: quella energetica, quella ambientale e quella della salute, che poggia su sviluppo farmaceutico e AI. Ebbene, la chiave è nell’innovazione. Queste sono le basi per il futuro del Paese. Saranno mesi decisivi, ma devo dire che il Governo sta facendo scelte coraggiose per dare impulso all’economia”.

Il presidente di Farmindustria si dice “cautamente ottimista. L’industria farmaceutica innova per tradizione e non ha paura del cambiamento. Sono convinto che poche scelte, anche se difficili, siano in grado di rendere il Paese più competitivo a livello internazionale”. Come diceva Orazio, ora bisogna cogliere l’attimo.

*Che cos’è il payback

Il payback, ovvero il ‘recupero del capitale investito’, contro il quale da anni si battono le imprese del farmaco – e quelle dei dispositivi medici – è un meccanismo, forse poco conosciuto al di fuori di questo settore, che da anni impone alle imprese fornitrici del Servizio sanitario nazionale di partecipare al ripiano della spesa rispettivamente per i farmaci e i dispositivi. Lo Stato, infatti, fissa ogni anno un tetto alla spesa per le forniture di questi presidi. Se il tetto viene superato, il ripiano viene diviso tra Stato e aziende. Un meccanismo che vorrebbe incentivare le imprese a contenere i prezzi. Come abbiamo detto c’è un payback farmaceutico e uno per i dispositivi medici. I procedimenti di ripiano della spesa farmaceutica sono avviati dall’Aifa, in presenza dello sfondamento del tetto della spesa territoriale o di quello della spesa ospedaliera a livello nazionale. La Manovra (in cantiere al momento di andare in stampa) alza il tetto della spesa farmaceutica diretta. Una misura che avrà l’effetto di ridurre il payback dovuto dalle aziende. L’intervento ha un impatto su entrambi i tetti della spesa farmaceutica (acquisti diretti e convenzionata), tenendo fermo il valore complessivo al 15,3%. Il tetto della spesa farmaceutica per gli acquisti diretti è rideterminato nella misura dell’8,6% dal 2024 (era 8,15), mentre quello della spesa farmaceutica convenzionata sarà del 6,7% (era il 7%).

 

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