Carenza di farmaci, gli italiani non si fidano degli equivalenti

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La carenza di particolari medicinali in farmacia è un tema che periodicamente torna all’attenzione delle cronache. Può sembrare strano, ma la soluzione ci sarebbe, e risiede nei farmaci equivalenti: prodotti “uguali al farmaco di marca per bioequivalenza e principio attivo”, come precisa Roberto Tobia, segretario nazionale di Federfarma.

Il caso ibuprofene è uno dei più eclatanti. “È vero che c’è stata, ad esempio, scarsità di un tipo di ibuprofene (il Nurofen Febbre e Dolore*) – ricorda Tobia – ma la stessa azienda fornisce delle alternative in forma diversa, come sciroppo per bambini o altri dosaggi per adulti”. C’è stata poi la cefixima, per cui a partire dal gennaio 2022 “l’Aifa ha autorizzato le strutture sanitarie a importare dal mercato estero il farmaco equivalente per bambini (Cefixoral sospensione*)”. Nei mesi scorsi s’è parlato molto anche di amoxicillina. “È una molecola conosciuta col nome commerciale di Augmentin*. Per molte forme di questo antibiotico – prosegue il segretario di Federfarma – la ditta produttrice ha cessato definitivamente la commercializzazione, ma si tratta di formulazioni poco usate. Anche in questo caso, si può sopperire alle carenze con delle alternative valide già presenti sul mercato“.

L’efficacia degli equivalenti si scontra però con l’atavica diffidenza degli italiani per il farmaco ‘non di marca’. Per avere il brand più famoso, in Italia si spendono infatti ogni anno 1,2 mld di euro in più. Un dato che vede il nostro Paese in fondo alla classifica europea sull’impiego degli equivalenti. Il paradosso si accentua se guardiamo ai diversi comportamenti adottati dai cittadini delle regioni del Nord e del Sud. “Al Meridione, nonostante un reddito mediamente inferiore, il farmaco equivalente costituisce appena il 20% delle vendite, mentre al Nord raggiunge il 40% di incidenza sui volumi nazionali. È un pregiudizio che va smontato e che probabilmente è dovuto in parte alla denominazione di ‘farmaco generico’, che può far risultare l’equivalente meno valido agli occhi dell’acquirente”. Poi ci sono i medicinali che vanno letteralmente a ruba. “È un fenomeno abbastanza marginale, che riguarda non tanto le farmacie di comunità, quanto quelle ospedaliere – spiega Tobia – A fare gola ai criminali sono soprattutto i farmaci ad alto costo, come gli antitumorali, che le organizzazioni criminali esportano in altri Paesi, dove sono rivenduti al mercato nero e in altri circuiti illegali“.

Per contenere e prevenire le carenze, l’Ema ha messo in piedi una rete di monitoraggio, con cui provvede a spostare quote di farmaci da un Paese all’altro, a seconda delle necessità. Le difficoltà di approvvigionamento del nostro Paese vanno ricondotte soprattutto alla dipendenza dalle importazioni di materie prime dall’estero. “Il problema è che dipendiamo dai principi attivi che sono prodotti soprattutto in Cina e in India – conclude Tobia – Poi c’è stato l’aumento del costo dei carburanti e quindi le forniture dall’estero sono state razionalizzate”.

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