Covid in Italia: oltre 52mila casi a settimana. Le novità sui vaccini

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I sintomi sono molto diversi: da febbre alta a un simil-raffreddore. Ma continuano a crescere a doppia cifra i casi di Covid-19 in Italia. Secondo gli ultimi dati diffusi dal ministero della Salute nella settimana 23-29 novembre sono stati 52.177 nuovi positivi: +16,1% rispetto alla settimana precedente (44.955). In aumento (del 23,8%) anche i morti: 291 contro 235. Il virus circola parecchio, e i rischi maggiori li corrono anziani e fragili.

“I dati confermano sostanzialmente l’andamento previsto rispetto alla stagionalità – sottolinea il direttore generale della Prevenzione del ministero, Francesco Vaia – Rinnoviamo l’appello alle Regioni ad intensificare gli sforzi organizzativi e a predisporre Open Day nei quali offrire libero accesso senza prenotazione per le vaccinazioni”.

Un appello a ricorrere ai vaccini condiviso, nei giorni scorsi, anche dagli esperti della Società Italiana di Reumatologia (Sir), mentre un nuovo studio dell’Ecdc (European Centre for Disease Prevention and Contro) accende i riflettori sulla durata della protezione anti-Covid. Ma vediamo prima tutti i numeri in Italia.

I ricoveri

Come abbiamo precisato più volte, il sommerso ormai rende alcuni dati poco significativi. Bisogna guardare gli ospedali: il tasso di occupazione in area medica al 29 novembre sale 9,2% (5.741 ricoverati), rispetto a 7,7% (4.811 ricoverati) di 7 giorni prima, mentre resta estremamente limitata l’occupazione Covid nelle terapie intensive: siamo all’1,9% (170 ricoverati), rispetto a 1,5% (137 ricoverati) del 22 novembre).

Dopo quanto tempo si riduce la protezione

Uno studio retrospettivo europeo, condotto su 6 Paesi – Belgio, Danimarca, Lussemburgo, Spagna, Norvegia, e Portogallo – evidenzia come la protezione da vaccino anti-Covid si riduca a tre mesi (12 settimane) dalla somministrazione e poi ancora dopo 6 mesi (24 settimane). “Questo risultato suggerisce che il tempo trascorso dall’ultima dose è più importante del numero totale di dosi somministrate nel livello di protezione sia contro il ricovero in ospedale che contro la morte per Covid-19”, concludono gli esperti europei. Un elemento di cui tener conto nell’ottica di proteggere anziani e fragili, che comunque in Italia non sembrano molto sensibili al richiamo vaccinale.

L’appello dei reumatologi

Eppure tutti i pazienti reumatologici “devono essere vaccinati contro le principali infezioni prevenibili”, ed è “fondamentale evitare alcune patologie che per un malato reumatico possono essere molto più pericolose che per il resto della popolazione – ha detto Gian Domenico Sebastiani, presidente della Società italiana di reumatologia (Sir) – Esiste un’ampia letteratura scientifica che ha dimostrato in modo inequivocabile come le malattie reumatologiche siano responsabili d’infezioni più severe. Risulta maggiore il rischio di ospedalizzazioni anche per l’influenza stagionale”.

La Società scientifica rinnova così l’invito a tutti i fragili alla vaccinazione anti-Covid. “Il paziente reumatologico va protetto il più possibile contro il Sars-CoV-2 – ha puntualizzato Nicola Ughi, Dirigente Medico presso la Reumatologia dell’ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano – Raccomandiamo a tutti la quinta dose, che sarà disponibile in alcune Regioni, per l’intera popolazione a prescindere dall’età o dalla presenza di gravi malattie croniche. Nelle strutture sanitarie della Penisola stiamo assistendo ad un aumento di casi di persone ospedalizzate a causa” di Covid-19. “E’ un pericolo reale – ha concluso – che però possiamo evitare grazie all’immunizzazione”.

L’effetto di Covid sulle malattie reumatiche

Un appello che si basa sui dati scientifici. “Come Sir siamo stati i primi in Europa ad avviare un registro su Covid e malattie reumatologiche”, ha detto Carlo Alberto Scirè, associato di Reumatologia all’Università Bicocca di Milano. “Dal 2020 al 2021 abbiamo coinvolto e raccolto i dati di più di 1.800 pazienti con l’obiettivo di valutarne gli esiti dell’infezione rispetto alla popolazione generale”.

Risultato? “Abbiamo riscontrato come il rischio di contrarre Covid sia leggermente maggiore, mentre la prognosi è peggiore. Vi sono tassi più alti di ospedalizzazioni o di ricorso a cure intensive in particolare per le malattie reumatologiche più severe”, ha aggiunto Scirè.

Ma attenzione: “I pazienti in trattamento immunosoppressivo possono non rispondere adeguatamente alla vaccinazione – ha concluso Sebastiani – In aggiunta sono comunque disponibili terapie a base di anticorpi monoclonali che possono proteggere il paziente immunocompromesso e preservarlo dal rischio di forme severe di Covid-19”.

 

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