Lipodistrofia: “Ecco come abbiamo scoperto una malattia rara italiana”

Giuseppe Novelli
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“Venti anni fa, nel mio laboratorio, scoprimmo la causa genetica di una rara malattia: la displasia mandibulo-acrale o sindrome di Andy Gump. Questa scoperta, aprì la strada a numerose ricerche sulle lipodistrofie e su diverse malattie dell’invecchiamento“. A sottolinearlo a Fortune Italia è il genetista Giuseppe Novelli dell’Università di Roma Tor Vergata, che in questi giorni a Santiago di Compostela ha ricevuto il Premio Internazionale “Celia Carrión Pérez de Tudela” per le ricerche sulla lipodistrofia e le malattie da invecchiamento precoce dall’Associazione Internazionale dei pazienti affetti di lipodistrofia.

“Grazie ai miei collaboratori che da oltre 20 anni continuano a fare ricerche su queste malattie e, naturalmente, ai pazienti e alle loro famiglie a cui dedico questo prestigioso riconoscimento“, scrive Novelli sui social. Ma vediamo bene come è nata questa scoperta.

Una storia che inizia negli anni Sessanta

Nel 1960 alcuni pediatri italiani descrissero un paziente affetto da una strana malattia, caratterizzata da un aspetto progeroide (invecchiamento precoce), forte riduzione del grasso cutaneo, naso piccolo, a becco, sottile ed affilato, mani e piedi piccoli e micrognazia (mento piccolo), anomalie delle falangi e delle unghie, chiazze di iperpigmentazione e alterazioni nello sviluppo delle clavicole. Una sindrome definita anche malattia di Andy Gump, dall’iconico personaggio di un fumetto americano dei primi del Novecento.

Dopo questa osservazione, altri clinici americani descrissero pazienti con questa rara malattia, per la quale furono proposti diverse classificazioni, risultate poi errate. Soltanto negli anni ’80, quando altri casi italiani o di origine italiana erano stati descritti in altre parti del mondo, si delineò un quadro clinico completo, con la denominazione di dermatodisostosi cranio-mandibolare o sindrome Mad. E qui arriviamo al coinvolgimento del genetista Novelli e del suo team.

L’origine italiana

“Quando nel 1986 alcuni colleghi ortopedici mi riferirono di aver recentemente osservato un altro caso di Mad in Italia – ricorda Novelli – ci siamo interessati a questa patologia, colpiti soprattutto dal fatto che tutti o quasi i casi descritti in letteratura (circa 20) erano italiani o di origine italiana. Questa considerazione in genetica è in accordo con il cosiddetto ‘effetto del fondatore’: si verifica cioè quando una mutazione è presente soltanto in alcuni gruppi umani e soprattutto nelle popolazioni che vivono in maniera isolata, dove gli incroci tra consanguinei sono frequenti”.

I casi analogi

Ne sono esempi il mal di melena (ipercheratosi palmoplantare) scoperta circa 180 anni fa nell’isoletta di Mljet (Meleda) al largo della costa Dalmata; la sindrome di Ellis-van-Creveld (displasia condroectodermica) negli Amish della Pennsylvania e la cecità congenita dei Pingelapesi (Isole Caroline Orientali). “Intorno al 1780 e il 1790, un tifone si era abbattuto sull’isola di Pingelap e aveva ridotto la popolazione a circa nove maschi e a un numero imprecisato di femmine. Nel 1970, i Pingepalesi erano 1500. Sembrerebbe, quindi che uno o più superstiti del tifone del diciottesimo secolo, fosse eterozigote (portatore sano) del gene che causa questa forma di cecità e che quindi attraverso gli incroci, il gene si sarebbe trasmesso e ereditato in due copie (omozigoti) da molte persone che risultano quindi malate”, ricorda il genetista.

La ricerca e il legame con l’Abbazia di Montecassino

“Con questa ipotesi abbiamo ottenuto il Dna da 8 diversi pazienti e dai loro familiari e, mediante la tecnica dello “scanning gnomico” cioè il confronto delle somiglianze di segmenti del Dna, abbiamo potuto dimostrare che una regione, presente sul cromosoma 1, era identica in tutti i malati. Ciò è in accordo con il fatto che uno stesso segmento di Dna è condiviso per discesa (cioè trasmesso da un’unica persona) attraverso le generazioni di individui ormai soltanto lontani parenti. L’ipotesi ha trovato anche conferma dal fatto che tutte le famiglie analizzate provenivano da aree dell’Italia centrale, un tempo sotto il dominio (784 – 787) dell’Abbazia di Montecassino”.

Una volta individuato la regione, “è stato piuttosto semplice isolare il gene e quindi la mutazione che causa la malattia – sottolinea il genetista – Il gene costruisce una proteina, la lamina, fondamentale per la struttura del nucleo delle cellule e la sua alterazione comporta anomalie che vanno da forme di distrofia muscolare, a malattie del sistema nervoso, cardiomiopatie, lipodistrofie (alterazioni del tessuto adiposo) e adesso la Mad”.

Un gene chiave per diverse malattie

E’ piuttosto comune in genetica osservare che alterazioni di un gene causano più malattie. “In questo caso le alterazioni della lamina causano sette malattie ereditarie diverse, ognuna con una loro storia e con una loro specifica alterazione”, precisa Novelli.

Lo studio italiano ha aperto a nuove speranze nei pochi e rari pazienti, abituati a odissee alla ricerca di una diagnosi e di una terapia almeno che ritardasse alcuni sintomi. “Sulla base del difetto genetico abbiamo immediatamente ipotizzato il rischio che questi pazienti sviluppassero una forma rara di diabete che spesso non viene diagnosticata: l’ipotesi ha trovato conferma e adesso i pazienti vengono sottoposti a terapia specifica. Non se e quando riusciremo ad arrestare la malattia – conclude Novelli – ma certamente la scoperta del difetto che ne è la causa rappresenta la prima tappa di questo percorso, oltre che una fonte di speranza per i pazienti con malattie rare”.

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