Suicidio assistito, la storia di Anna e il diritto di scegliere

Marco Cappato Filomena Gallo suicidio assistito
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Una storia di diritti conquistati con fatica, di libertà di scelta, ma anche di attesa. È la storia di “Anna” (nome di fantasia a tutela della privacy), 55 anni, affetta da sclerosi multipla secondariamente progressiva, morta il 28 novembre a casa sua, a Trieste, per suicidio assistito, attraverso l’autosomministrazione di un farmaco letale.

A raccontare le tappe di questa vicenda è l’Associazione Luca Coscioni, che da anni si batte per la libertà di scelta su questo fronte, e sottolinea come si tratti della prima italiana ad aver completato la procedura prevista dalla Consulta con la sentenza “Cappato\Antoniani”, con l’assistenza diretta del Servizio sanitario nazionale.

“Per la prima volta in Italia una persona ha avuto accesso all’aiuto alla morte volontaria interamente nell’ambito del Servizio sanitario pubblico a seguito dell’ordine di un giudice”, ha detto Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, che coordina il collegio legale di studio e difesa composto anche dagli avvocati Francesca Re, Angelo Calandrini e Alessia Cicatelli.

Il farmaco e la strumentazione per il suicidio assistito sono stati forniti dal Ssn e un medico individuato dall’azienda sanitaria, su base volontaria, ha provveduto a supportare l’azione richiesta, senza intervenire direttamente nella somministrazione del farmaco.

“Anna’ è la prima persona malata che ha visto riconoscere, da parte dei medici incaricati di effettuare le verifiche sulle condizioni, che l’assistenza continua alla persona è assistenza vitale, così come la dipendenza meccanica non esclusiva garantita attraverso l’impiego di supporto ventilatorio (CPAP) nelle ore di sonno notturno.

Per ottenere il rispetto della sua volontà e l’applicazione della sentenza ‘Cappato’ della Consulta, la donna ha dovuto rivolgersi alla giustizia civile e penale, con grande fatica ha voluto personalmente depositare dai Carabinieri l’esposto contro l’azienda sanitaria e partecipare sempre in persona alla prima udienza civile in Tribunale a Trieste, che ha poi emesso una ordinanza di condanna dell’azienda sanitaria. Dopo un anno, la richiesta della paziente è stata rispettata.

Il messaggio di Anna

“Anna – si legge nel messaggio lasciato dalla donna – è il nome che avevo scelto e, per il rispetto della privacy della mia famiglia, resterò “Anna”. Ho amato con tutta me stessa la vita, i miei cari e con la stessa intensità ho resistito in un corpo non più mio. Ho però deciso di porre fine alle sofferenze che provo perché oramai sono davvero intollerabili. Voglio ringraziare chi mi ha aiutata a fare rispettare la mia volontà, la mia famiglia che mi è stata vicina fino all’ultimo. Io oggi sono libera, sarebbe stata una vera tortura non avere la libertà di poter scegliere”.

“Il diritto di scelta alla fine della vita si sta faticosamente affermando – commentano Filomena Gallo e Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, che sta promuovendo su tutto il territorio nazionale la campagna regionale Liberi subito, affinché le regioni approvino una legge che introduca tempi e procedure certi per accedere al suicidio assisto – nonostante ostruzionismi e resistenze ideologiche che sono sempre più lontane dal sentire popolare”.

Stando al Censis, infatti, i favorevoli in Italia sono la maggioranza: il 74% degli intervistati. “Ora occorre lavorare sui tempi. Non deve più essere consentito di far attendere quasi un anno fra sofferenze intollerabili e condizioni che peggiorano con il rischio di perdere le ultime forze necessarie per l’autosomministrazione del farmaco letale”, conclude Marco Cappato. O addirittura incappare in dinieghi come nel caso di Sibilla Barbieri, costretta a morire in Svizzera come altri italiani prima e dopo di lei.

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