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Donazioni e trapianti: la rete italiana cresce. La lezione dell’Emilia Romagna

Gilead

Donare i propri organi e tessuti dopo la morte può salvare una o più vite: grazie ai trapianti, ogni anno, per migliaia di persone si riaccende la speranza di tornare a una vita piena. Una scelta importante, che è già stata abbracciata da 18 milioni di italiani. Di progressi, ma anche criticità si è parlato all’evento online “Trapianti: la donazione è un bene da preservare. L’esperienza dell’Emilia-Romagna”, organizzato da Nomos Centro Studi Parlamentari col contributo non condizionante di Takeda Italia.

Un appuntamento che ha riunito clinici, istituzioni e cittadini per sensibilizzare su un tema delicato, quello dei rischi di infezioni nella fase post-trapianto, portando alla luce il caso virtuoso dell’Emilia Romagna.

“Il percorso inizia dalla segnalazione del potenziale donatore e si conclude col trapianto: una rete complessa costituita da tanti nodi importanti”, spiega Nicola Alvaro, direttore del Centro di riferimento trapianti dell’Emilia-Romagna. “Nella regione sono presenti 23 ospedali sedi di terapia intensiva, che partecipano al programma per il reperimento degli organi da donare. Abbiamo poi 7 centri di trapianto e la banca dei tessuti di cornee, muscolo-scheletrico, cute, vasi e valvole cardiache”. L’Emilia Romagna è stata fra le prime regioni a comprendere l’importanza di valorizzare le donazioni e ha investito per mettere in piedi una rete solida, con programmi avanzati. 

Il trend

Questa regione rappresenta senza dubbio un’eccellenza del Belpaese, ma è tutto il sistema italiano di donazioni e trapianti a mostrare una crescente affidabilità. “I dati del 2023 segnalano un aumento dell’attività e confermano come la rete italiana delle donazioni e dei trapianti sia solida, in continua crescita e caratterizzata da una sempre maggiore capacità operativa nell’identificare i possibili donatori”, sottolinea Massimo Cardillo, direttore generale del Centro Nazionale Trapianti. Permane però la criticità delle liste d’attesa: sono circa 8.000 i pazienti in attesa di ricevere un organo.

Per Cardillo “la problematica principale è l’opposizione alla donazione, che riguarda il 30% dei cittadini. Solo un’informazione adeguata può consentire di fugare dubbi e sfatare i falsi miti alla base delle tante opposizioni”.

Sull’importanza di informare la cittadinanza si è spesa anche Alessandra Luppi, vicepresidente di Aido, l’associazione italiana per la donazione di organi. “Noi ci occupiamo di donazione in tutti i campi possibili, dalle scuole ai luoghi di lavoro. Abbiamo compreso che l’informazione è il punto centrale: chi sceglie di diventare donatore deve avere consapevolezza del tema e fare questo passo con serenità”.

Il Citomegalovirus

Fra i rischi più concreti nella fase post-trapianto, c’è quello legato all’infezione da Citomegalovirus. “Per fortuna oggi è molto meno letale rispetto al passato – precisa Luciano Potena, direttore S.S.D. Insufficienza cardiaca e Trapianti Irccs azienda ospedaliero-universitaria di Bologna. “Per prevenire l’infezione da Citomegalovirus si può agire facendo una profilassi con un antivirale che viene somministrato a scopo preventivo”. La fase post-trapianto è quella più delicata, che richiede necessariamente “un approccio multidisciplinare ed è seguita da un follow-up a medio e lungo termine. Il paziente – aggiunge Potena – va incontro a indagini di monitoraggio sia per il rigetto d’organo che per rischio infettivo, che rappresenta la complicanza maggiore e la prima causa di morte nel primo anno dopo il trapianto”.

La senatrice Elena Murelli, membro dell’Intergruppo parlamentare Donazione e Trapianto, ha tracciato un primo bilancio a un anno dalla costituzione dell’Intergruppo. “Abbiamo audito tutte le associazioni di pazienti, i professionisti e le aziende che si occupano di trapianti. Durante l’esame della Legge di Bilancio abbiamo presentato un ordine del giorno volto a rafforzare la campagna di informazione sulla donazione. Il 27% dei trapiantati viene colpito da infezioni – conclude la senatrice – e bisogna fare tutto il possibile affinché il trapianto non sia un atto vano”. 

Terapie sempre più a misura di pazienti

La ricerca, sfruttando la tecnologia, può fornire un contributo prezioso per garantire ai pazienti terapie sempre più sostenibili. “Oggi abbiamo a disposizione delle straordinarie strategie di profilassi, che hanno cambiato profondamente l’approccio al trapianto allogenico di cellule staminali emoproietiche; fino a pochi anni fa la sierologia del Citomegalovirus impattava sulla scelta del donatore, oggi non è più così, grazie a una profilassi che ha cambiato la storia della malattia”, spiega la professoressa Francesca Bonifazi, direttore del programma terapie cellulari avanzate dell’Irccs di Bologna.

“La donazione è una ricchezza da salvaguardare anche attraverso il miglioramento dell’assistenza post-trapianto per i pazienti, la gestione accurata dei rischi come il citomegalovirus, la promozione della ricerca e dell’innovazione, la condivisione di dati ed esperienze”, evidenzia Andrea Degiorgi, Rare Business Unit Head Takeda Italia. “In Takeda crediamo che oggi l’azienda debba farsi promotrice di nuovi modelli attraverso una costante collaborazione tra pubblico e privato, individuando tutte le azioni che possono assicurare il miglior esito del trapianto, affinché la vita di ogni singolo paziente sia tutelata e non sia vanificato l’investimento realizzato dal Servizio sanitario”.

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