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Carlo III e i problemi alla prostata, cosa dicono i medici

Re Carlo III prostata
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Tengono banco le notizie sulla salute dei Reali che arrivano da Buckingham Palace. Se l’intervento chirurgico all’addome cui è stata sottoposta la principessa del Galles resta avvolto nel mistero, Re Carlo III ha ufficialmente un problema alla prostata, per il quale sarà operato la prossima settimana.

Fonti ufficiali hanno parlato di “ipertrofia prostatica benigna”, e di “una procedura correttiva” in programma a Londra. Una trasparenza sulle condizioni di Sua Maestà che è una novità, e coincide con l’estrema discrezione sulle condizioni di Kate Middleton, operata all’addome e ricoverata per 15 giorni. In questo caso non trapelano dettagli sulla patologia, la principessa però dovrà affrontare un lungo periodo di recupero. 

Ma quanto è diffusa l’ipertrofia della prostata, come si riconosce e come si cura? Fortune Italia ne ha parlato con Rocco Damiano, professore ordinario di Urologia all’Università Magna Graecia di Catanzaro.

I numeri

“Re Carlo, come circa 3 milioni di persone in Italia, soffre di disturbi urinari. Nella fascia d’età fra 50 e 80 anni questi disturbi si correlano spesso con una ipertrofia della prostata“, precisa il professor Damiano.

“L’ipertrofia prostatica benigna è una condizione in cui la prostata diventa iperplastica. Insomma, Re Carlo è affetto da una sindrome clinica in cui l’ingrandimento della ghiandola si associa a una difficoltà ad espellere le urine e a disturbi urinari che possono essere di tipo irritativo od ostruttivo (getto poco forte o sensazione di svuotamento incompleto). In presenza di queste condizioni abbiamo la possibilità, una volta esclusa la presenza di un tumore, di venire sottoposti a una terapia medica per cercare di ridurre le dimensioni della ghiandola e i sintomi. Nel momento in cui la terapia non è sufficiente, si ricorre a un intervento chirurgico”.

I possibili approcci chirurgici

“L’intervento a cui verrà sottoposto re Carlo è correlato alle dimensioni della prostata“, premette Damiano. Normalmente la ghiandola pesa tra i 20 e i 30 grammi. “Se è di volume inferiore a 100 grammi, il gold standard è una resezione transuretrale della prostata (TURP): il chirurgo entra attraverso l’uretra e, con uno strumento chiamato resettoscopio, asporta parte della ghiandola dall’interno, così da creare una cavità nella prostata e favorire un miglioramento della sintomatologia”.

Se però la ghiandola è più grande, “l’intervento potrebbe consistere nell‘enucleazione della ghiandola prostatica dall’interno, attraverso il canale uretrale, portandola in vescica per eseguire poi una morcellazione”. In pratica, la ghiandola viene triturata attraverso un morcellatore.

Secondo l’urologo è più difficile che si debba ricorrere a un trattamento chirurgico di tipo tradizionale: “L’adenomectomia consiste nell’asportazione di un adenoma prostatico, ossia di una porzione della prostata ingrossata a tal punto da schiacciare l’uretra e impedire il corretto passaggio dell’urina”.

Questo perchè i primi due approcci sono molto meno invasivi e consentono “una ridotta degenza e un più rapido recupero post-operatorio”. In media entro 3-4 giorni si possono riprendere le attività, continua lo specialista. “Se la TURP richiede una degenza media di 3-4 giorni, l’enucleazione laser si limita a 2-3 giorni. Nel caso di Re Carlo però la degenza potrebbe essere un po’ più prolungata per evitare rischi di complicanze”.

Italiani e prevenzione

La cronaca, per una volta, permette di diffondere un messaggio importante. “Tutti possono essere colpiti da problemi alla prostata, anche i Reali. Quindi – raccomanda Damiano – il mio invito agli italiani è quello di fare prevenzione e considerare l’urologo un vostro amico, specialmente a partire dai 50 anni. Diagnosticare e trovare una cura per i disturbi urinari è importante, anche per escludere il rischio di un tumore della prostata, che nella fascia tra 50 e 70 anni in Italia colpisce 47mila persone ogni anno”.

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