Tiziano Onesti (Bambino Gesù): “Aiutare i bambini è investire nel futuro”

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Un economista (nato “macroeconomico” e diventato aziendale) prestato alla salute. Potremmo definire così Tiziano Onesti, presidente dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma. Che traccia un bilancio della sua esperienza alla guida della prima struttura pediatrica d’Europa. All’obiettivo di dare ‘respiro’ all’ospedale del Gianicolo (“l’operazione Forlanini va avanti e il 2024 auspichiamo che sia l’anno della firma del protocollo”), si somma la sfida quotidiana di assicurare l’accesso a cure di qualità ai bambini e alle famiglie.

Onesti non dimentica la lezione dei suoi maestri, uno su tutti: Federico Caffè. Per quella che Caffè definiva “economia del benessere”, come ci ricorda il presidente nel corso di una lunga chiacchierata, il nodo non è solo produrre ricchezza, “quanto assicurarne una distribuzione equanime. Perché la sanità deve essere per tutti e non per un’élite. E i bambini sono il nostro futuro”.

Una laurea in Scienze delle finanze e una carriera partita con un’esperienza in Africa e approdata all’università tra Lecce, Bari, Foggia, con incarichi all’Aquila, alla Luiss e a Roma Tre: come nasce la sua storia al Bambino Gesù?

Conoscevo come tutti i romani il Bambino Gesù, l’ospedale del Papa, che è sempre stato un imprescindibile punto di riferimento per le famiglie e i loro bambini. A fine 2015 incontro Mariella Enoc (che ha guidato l’ospedale dal 2015 a marzo 2023, ndr), la quale si era informata della mia storia personale, del mio impegno universitario, della mia professione. Vengo così nominato dal Segretario di Stato, Pietro Parolin, componente del Collegio dei Revisori dell’Ospedale (fino a marzo 2023, ndr). Da docente e studioso di economia mi sono sempre interessato alle disuguaglianze. Ai miei studenti racconto il grande privilegio di aver conosciuto un economista come Federico Caffè. Mai dimenticherò i suoi insegnamenti, in particolare sulla comunità in cui una persona dovrebbe vivere: quella che sa valorizzare il tuo talento. Con l’esempio il mio maestro Gianfranco Zanda, scomparso in questi giorni, mi ha mostrato quanto sia importante che talento e merito possano emergere. A quasi un anno di distanza posso dire che l’esperienza con l’Ospedale è unica: curiamo i bambini, le loro famiglie. Noi stessi siamo una famiglia composta da tante professionalità. Personale sanitario, ricercatori, amministrativi, religiosi, volontari e donatori.

La vostra struttura ogni anno attrae un numero importante di pazienti, anche da fuori Regione e dall’estero. Può fornirci qualche dato aggiornato?

I dati sono una miniera d’oro, danno significato a quello che facciamo. Abbiamo 300-400 accessi al giorno nei due pronto soccorso del Gianicolo e di Palidoro, oltre 95.300 l’anno, con 2,5 milioni di visite ambulatoriali. Numeri importanti: siamo il primo policlinico pediatrico d’Italia e fra i primi al mondo. Qui ricerca e applicazioni cliniche si fondono per garantire assistenza a bimbi da ogni parte d’Italia e dall’estero, senza differenze. Il 30% dei ricoveri proviene da fuori Regione, soprattutto Campania, Puglia e Calabria: quasi 9.000 ricoveri su circa 29.000 annui. Inoltre il 2% dei ricoverati arriva dall’estero, mentre i pazienti umanitari accolti dall’Ospedale sono 320, di cui 123 interamente a carico della nostra Fondazione.

Ad aprile festeggerà un anno alla guida dell’Ospedale pediatrico più grande d’Europa, possiamo tracciare un bilancio?

È stata una partenza da zero a mille. Devo dire che mi sento protetto quando sono qui dalla vicinanza delle persone, che mi incitano ad andare avanti. All’inizio del mio mandato ho individuato alcuni pilastri strategici per l’ospedale e per la sua sopravvivenza nel lungo periodo, come la consapevolezza del livello di competenza presente, non solo specifica (pensiamo ai risultati della nostra ricerca), ma anche nel sapersi prendere cura con attenzione, vicinanza e rispetto dei bambini, dei loro genitori e dei loro fratellini. C’è poi la constatazione dei limiti fisici dell’attuale struttura del Gianicolo. L’Ospedale è cresciuto tanto, ma vive in spazi troppo ristretti. La cosa più importante però è il capitale umano: il Bambino Gesù è un’azienda ospedaliera e deve saper attrarre i talenti e le migliori competenze su base mondiale.

Un tema caldo è quello della nuova sede: a che punto siamo con l’operazione Forlanini?

La Santa Sede e le autorità italiane convengono sul fatto che la struttura del Gianicolo non è più adeguata alla complessità e ai volumi raggiunti dall’Ospedale. Da tempo si parla di una nuova sede. Sarebbe una novità di forte impatto per i pazienti, per la città di Roma e per il Sistema sanitario nazionale e regionale. Santa Sede, Governo italiano e Regione Lazio stanno prestando grande attenzione al tema e il dialogo è serrato e costruttivo. Posso dire che sono ottimista.

Spesso raccontiamo i risultati di eccellenza ottenuti dai vostri medici e ricercatori, ma nei mesi scorsi c’è stato anche il caso di Indi Gregory. Perché l’ospedale si è offerto di accogliere la piccola e quali possibilità avete prospettato ai genitori?

L’Ospedale difende la vita. Di fronte a una specifica richiesta del Governo italiano, il Bambino Gesù ha dato la propria disponibilità ad accogliere la bimba in un momento così drammatico per Indi e per i suoi familiari. Il dolore, la malattia sono fatti immanenti all’uomo: non è perché non vedi il dolore che puoi dire che non esiste. In questi terribili momenti, occorre ascoltare e accompagnare la famiglia e il bambino, mostrare loro che non sono soli. Se non tutti possono essere guariti, tutti devono essere curati.

Una sfida importante per la sanità italiana è quella di coniugare innovazione e sostenibilità: qual è la ricetta del Bambino Gesù?

Le ricette le fanno i medici (sorride, ndr). La decisione finale è mia, come anche la responsabilità, ma il tuttologo non esiste. Per me è fondamentale il gioco di squadra, anche nella sfida dell’innovazione e della ricerca, che è imprescindibile. Se dovessi definire il mio stile di lavoro, lo definirei eclettico e prismatico.

Come attrarre e conservare i giovani talenti? Cosa la guida nella scelta dei collaboratori?

Non ho mai fatto il colonizzatore. Mi piace far crescere i giovani di valore, anche perché è fondamentale assicurare un ricambio generazionale. Negli anni ho scommesso su figure talentuose, convinto che non siamo eterni e che occorre avere una visione di lungo periodo. Così, anche nella selezione dei giovani talenti, noi cerchiamo sempre i migliori. E finora questa scelta ha pagato.

In questi anni non sono mancate le iniziative a sostegno dell’ospedale. Mi incuriosisce un tema particolare, quello dei lasciti. Vi è capitato di essere ricordati nel testamento di qualche cittadino?

La dimensione del dono caratterizza tutta la storia di questo ospedale, dalla sua fondazione nel 1869, alla sua “donazione” alla Santa Sede nel 1924. Cento anni tondi, che celebreremo quest’anno attraverso una serie di iniziative dedicate, appunto, al valore del dono. C’è poi un progetto della Fondazione Bambino Gesù che si chiama “Io scelgo il futuro”, una campagna dedicata ai lasciti e alle donazioni in vita. È bello pensare a queste persone, magari al tramonto della vita, che vogliono investire ancora nel futuro scegliendo di aiutare chi aiuta i bambini.
Un gesto di grande speranza e generosità. Posso dire che, tra lasciti ed eredità, sono stati raccolti quasi 700mila euro nell’ultimo anno.

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