Cicatrici, curare le ferite della guerra in Ucraina

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Dall’Italia all’Ucraina, per trattare le cicatrici di guerra con una metodica frutto dell’ingegno italiano che ha già fatto la differenza per le donne vittime di violenza. Il progetto RigeneraDerma si amplia con l’offerta gratuita a militari e civili feriti in Ucraina.

‘Mission to Kiev’ è una missione umanitaria ideata da Maurizio Busoni, professore presso il Master di Medicina Estetica delle Università di Barcellona e Camerino, con il patrocinio dell’Università di Verona e la collaborazione fra gli altri di Andrzej Ignaciuk, Past Presidente Uime Union Internationale de Mèdicine Esthétique di Varsavia e di un gruppo di medici ucraini.

cicatrici
La presentazione di Mission to Kiev. Maurizio Busoni a sinistra, Francesco D’Andrea a destra

Cosa sappiamo

In letteratura esistono solo 18 studi sulle cicatrici di guerra indicizzati su PubMed, prevalentemente dedicati alla chirurgia maxillofacciale. Le principali ferite sono da ustione, conseguenza del fatto che intorno alle zone con esplosioni l’aria diventa rovente per un raggio di decine di metri e le persone che hanno la sventura di trovarvisi sono esposte a lesioni su mani, volto e collo, generalmente non coperte dall’abbigliamento.

La metodologia Biodermogenesi per la rigenerazione dei tessuti cutanei sarà messa a disposizione dei medici ucraini aderenti all’iniziativa che, offriranno le terapie ai pazienti dopo una specifica formazione. Referente del progetto in Ucraina è Anna Shemetillo, Medical Director Academy of Advanced Aesthetics UA di Kiev.

Le caratteristiche delle lesioni

“Le cicatrici di guerra – ha spiegato Francesco D’Andrea, direttore del Dipartimento di Chirurgia plastica ed estetica del Policlinico Federico II di Napoli e past president della Sicpre (Società di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica) alla presentazione del progetto – sono la conseguenza di traumi da arma da fuoco e hanno caratteristiche peculiari. Si tratta di ferite spesso estese, di tipo lacerocontuso, infette e con perdita di tessuto”. Le cicatrici sono “ispessite, spesso dolenti e retraenti con associati disturbi funzionali se localizzate in zone come arti e collo”.

Una sfida per i medici

Queste lesioni “nascono in situazioni difficili e sono poco prevedibili, sia per la sede, sia per il meccanismo di formazione. Sono sempre state una sfida per l’umanità. Si potrebbe dire – sottolinea Andrea Sbarbati, ordinario di Anatomia Umana e direttore della sezione di Anatomia Umana e Istologia dell’Università degli Studi di Verona – che la medicina è nata per curare le ferite di guerra. E questa sfida non è stata ancora vinta. Nella cicatrice noi abbiamo un esempio di quello che avviene in ogni parte del corpo durante l’invecchiamento, ma in modo acuto. Si generano, infatti, fenomeni di atrofia, di ipertrofia, che portano ad un tessuto fibrotico con problemi vascolari, come succede nei tessuti invecchiati. È come se il tessuto invecchiasse nel giro di pochi giorni o mesi”.

“Oggi – continua lo specialista – abbiamo a disposizione delle metodiche in grado di ringiovanire il tessuto. E abbiamo il dovere morale di sviluppare queste tecnologie, perché possono essere utili in tante situazioni patologiche, anche al di fuori del contesto di guerra. L’Università di Verona da tempo studia il trattamento presentato sia dal punto di vista anatomico-funzionale, sia bio-ingegneristico. I risultati di questi studi sono stati pubblicati su riviste scientifiche internazionali. In particolare, sono state evidenziate possibilità di induzione di fenomeni rigenerativi dei tessuti“.

Come trattare queste cicatrici

È fondamentale capire come si determinano. Nel caso di quelle causate da arma da fuoco o esplosivo, “si deve considerare che la ferita è generata da una scottatura termica associata ad una bruciatura chimica – dice Sheila Veronese, esperta di Medicina rigenerativa presso il Dipartimento di Scienze Neurologiche, Biomediche e del Movimento dell’Università degli Studi di Verona – L’effetto termico si esaurisce con il raffreddamento dei tessuti. Gli agenti chimici, invece, continuano ad erodere anche in profondità i tessuti fino a che l’ultima molecola non viene lavata via dal corpo. Curare questo genere di danni significa ristrutturare tutti i tessuti coinvolti, talvolta rigenerandoli. Perché tanto più profonda è la ferita, tanto più estesa la cicatrice, e tanto più grave il danno funzionale”.

Può sembrare sorprendente ma “non esiste un protocollo terapeutico convalidato, né una scala di valutazione del danno – dice Maurizio Busoni – Pertanto siamo partiti dallo studio delle cicatrici di guerra e delle loro conseguenze, quali ad esempio dermatiti gravi e talvolta croniche o devastanti forme di tumore cutaneo come le ulcere di Marjolin, sviluppando una scala di valutazione di tali cicatrici che abbiamo chiamato POWASAS: Patient and Observer WAr Scar Assessment Scale. La scala verrà adottata per tutta la durata di ‘Mission to Kiev’ e permetterà inizialmente di determinare la gravità delle lesioni e, successivamente, di valutare i miglioramenti apportati”.

Non solo terapia, ma anche ricerca. “Saranno raccolti i dati di tutti i pazienti curati, al fine di pubblicare degli studi clinici destinati a ridurre il vuoto informativo nell’ambito della cura delle cicatrici di guerra”, chiarisce Busoni.

Come funziona la metodica

Biodermogenesi agisce favorendo direttamente la rigenerazione cutanea erogando tre tipi di stimolazioni: vacuum, campi elettromagnetici e una leggerissima stimolazione elettrica. Riesce a riattivare il circolo cutaneo, favorendo il recupero del normale calibro dei capillari, con conseguente ossigenazione del tessuto. Contemporaneamente i campi elettromagnetici favoriscono la formazione di nuove fibre elastiche e di collagene che permettono di rimodellare il tessuto cutaneo. La metodica è made in Italy e finora è stata esportata in una trentina di Paesi.

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