Aggressioni a medici e infermieri, tre iniziative per dire basta

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Dal Sud al Nord Italia il fenomeno delle aggressioni agli operatori sanitari non dà segno di rallentare. Dopo la ‘pausa’ Covid gli episodi, anzi, si sono moltiplicati e purtroppo a volte sono stati fatali. “I dati sono drammatici, e dimostrano una crescita del fenomeno in tutte le Regioni”, sottolinea il presidente della Fnomceo Filippo Anelli.

“Vorremmo poter dire di aver voltato pagina e invece, purtroppo, siamo ancora lontani da una soluzione al gravissimo problema delle aggressioni nei confronti degli operatori della salute”, gli fa eco il segretario nazionale del Nursind Andrea Bottega. “Lo dico con l‘amaro in bocca, rappresentando la categoria più colpita nella sanità. Sia che si tratti di violenze fisiche e sia che si tratti di violenze verbali, infatti, gli infermieri hanno il triste primato di essere le principali vittime di aggressioni”.

Gli ultimi dati diffusi da Anaao-Assomed segnalano come l’81% dei medici che ha risposto al sondaggio è stato vittima di aggressioni fisiche (il 23%) o verbali (77%). Mentre Cimo-Fesmed stima in 2.500 le aggressioni, denunciate, che si verificano ogni anno in sanità.

Ecco allora che,in occasione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari, i medici hanno promosso una campagna social e due corsi di formazione a distanza, di cui uno sulle tecniche di de-escalation e di gestione dell’aggressività e dello stresss. Obiettivo: prevenire le aggressioni contro gli operatori sanitari.

La legge c’è ma non basta

Come arginare le aggressioni? “Occorre dare piena applicazione alla Legge 113/2020 sulla sicurezza degli operatori: le aziende devono adottare protocolli per segnalare alle autorità competenti tutti gli episodi di violenza, in modo da attivare la procedibilità d’ufficio. Occorre agire sulla sicurezza delle sedi e degli operatori. Occorre anche una rivoluzione culturale – insiste Anelli – per cui il medico torni ad essere visto come attore della relazione di cura, e non come bersaglio da colpire. Occorrono politiche di risk management, di formazione degli operatori, di comunicazione verso i pazienti”.

La campagna

“Nemmeno ricordo come è iniziata: continuava a picchiarmi. credevo di morire… Volevo fare il medico per salvare vite, e a stento ho salvato la mia: diciamo basta”. Una dottoressa in camice con il volto tumefatto è la protagonista della nuova campagna della Federazione degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri contro le aggressioni ai medici.

 

Le continue aggressioni sono uno dei motivi per i quali sempre più medici abbandonano il Servizio Sanitario Nazionale, per il privato, l’estero, la libera professione, il prepensionamento, dice Anelli. “Abbiamo scelto immagini forti per lanciare un messaggio ancora più forte: alla fine, chi rimane vittima di questa ondata di violenza è proprio il cittadino, che rischia di rimanere senza cure. Perché, come dicevamo in una delle nostre prime campagne sul tema, chi aggredisce un medico aggredisce sé stesso”.

Conoscere per prevenire

I due corsi di formazione a distanza, gratuiti e accreditati nell’ambito del programma di Educazione continua in Medicina, puntano poi a informare i medici sulla violenza e la sua possibile prevenzione.

Il primo, “La violenza nei confronti degli operatori sanitari”, è già on line da inizio anno: analizza le cause del fenomeno e le conseguenze fisiche e psichiche delle aggressioni, che non si limitano al momento dell’episodio ma che si trascinano nel tempo, con forme di ansia e depressione e di minore soddisfazione nell’attività lavorativa quotidiana.

Un’indagine tramite un questionario, elaborato dal Gruppo di Lavoro Fnomceo per la sicurezza degli operatori, permetterà di avere un quadro d’insieme del fenomeno, monitorando le aggressioni fisiche e verbali, la messa in sicurezza delle sedi e il rischio di burnout dei professionisti.

Il secondo corso, on line dall’estate, sarà tenuto dallo psichiatra e criminologo Massimo Picozzi e verterà sulle tecniche di de-escalation, di gestione dell’aggressività e dello stress, di comunicazione con pazienti e familiari. Dai fattori di rischio, alle trappole mentali che non permettono di riconoscerli, alla valutazione di una situazione aggressiva in divenire per un intervento precoce, i partecipanti potranno apprendere tecniche di gestione dello stress, di valutazione dello stato mentale, di de-escalation e di comunicazione nei confronti di familiari e accompagnatori.

Dalla parte degli infermieri

“Occorre intervenire con il massimo sforzo per garantire il diritto alla sicurezza del personale sanitario sul luogo di lavoro e, allo stesso tempo, la tutela del diritto alla salute degli stessi pazienti”, ha detto Luigi Baldini, presidente di Enpapi, l’Ente nazionale di previdenza e assistenza della professione infermieristica, al quale sono obbligatoriamente iscritti gli infermieri liberi professionisti.

Secondo Baldini “occorre un monitoraggio attento delle strutture, delle loro criticità, una valutazione che porti ad assumere provvedimenti mirati, che siano poi la creazione di posti di Polizia in loco o modifiche alle leggi vigenti”. Ma “serve anche un cambio culturale che parta dai giovani, dalle scuole, dalla società civile”.

Investire in sanità per contrastare la violenza

Quanto al segretario del Nursind, “basta smetterla di nascondere la testa sotto la sabbia. Ben vengano i presidi di polizia, ma non è militarizzando gli ospedali che si può eradicare il problema. Di fronte a disservizi e mancate cure, infatti, non c’è presidio difensivo che tenga. Solo riorganizzando il nostro Ssn e quindi investendo in sanità si potranno dare le sacrosante risposte di cura ai cittadini che non avranno più motivi per scaricare la loro rabbia contro i sanitari”.

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