Alzheimer, frenata in Usa sulla terapia della speranza. Ora che succede

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Doccia fredda per Lilly, che aspettava entro il primo trimestre dell’anno l’ok dell’Fda americana per donanemab, il suo farmaco contro l’Alzheimer. L’agenzia regolatoria ha infatti deciso di convocare un advisory committee di esperti esterni per esaminare a fondo il rapporto rischi/benefici di questa terapia, tanto attesa dalle famiglie dei pazienti con Alzheimer.

Un approccio prudenziale (probabilmente dopo l’affaire aducanumab), che getta acqua sul fuoco sugli entusiasmi intorno a questa terapia e sulla pressione che monta da mesi per una sua approvazione. Ma si tratterebbe di uno stop comunque temporaneo secondo molti osservatori, che se non ha tuttavia mancato di suscitare polemiche, perché rappresenta un first nell’atteggiamento dell’Fda: una ‘frenata’ rispetto ad una data di probabile approvazione già annunciata e la convocazione di una commissione esterna in una fase molto avanzata dell’iter registrativo.

Va comunque detto che una revisione accurata dei rischi e benefici era stata richiesta dalla stessa Fda anche per altri due farmaci anti-amiloide (lecanemab e aducanumab, entrambi sviluppati da Eisai-Biogen), già sul mercato. Lo scorso mese, peraltro, Biogen ha annunciato il ritiro dal mercato di aducanumab, il controverso farmaco anti-Alzheimer che negli Usa aveva ricevuto un’approvazione accelerata (giugno 2021) e che non è mai stato approvato in Europa.

Così facendo, Biogen ha deciso di puntare tutto su lecanemab, (altro trattamento anti-beta amiloide approvato negli Usa, ma non ancora in Europa), ritenuto più efficace e sicuro del first in class della categoria.

Anche donanemab è un anticorpo monoclonale contro l’amiloide beta, sostanza che si accumula nel cervello dei pazienti con Alzheimer e che si ritiene implicata nella patogenesi della malattia ruba-ricordi. Gli studi clinici hanno dimostrato che il farmaco è in grado di rallentare il declino cognitivo, se somministrato nelle prime fasi della malattia, ma non di far recuperare quanto già perso da questi pazienti. Negli studi clinici ha dimostrato di essere in grado di rallentare del 35% il rallentamento cognitivo valutato con una serie di test neuro-psicologici. Anche donanemab è tuttavia gravato dagli effetti indesiderati (da asintomatici a potenzialmente fatali) noti come Aria (edema cerebrale o microemorragie).

“La Fda, visti i risultati del trial Trailblazer-Alz 2 – commenta il professor Camillo Marra, presidente di SINdem, associazione autonoma per le demenze, aderente alla Società Italiana di Neurologia – benché donanemab sia apparentemente molto più efficace rispetto a lecanemab e a aducanumab nel rimuovere le placche di amiloide anche in un periodo limitato di tempo, ha chiesto una rivalutazione del rapporto rischio-beneficio per la presenza di un alto numero di fenomeni di ARIA nei soggetti trattati con questo farmaco”.

Camillo Marra, presidente di SINdem

ARIA è un acronimo che sta per Amyloid-Related Imaging Abnormalities e indica delle alterazioni osservate alla risonanza magnetica nei pazienti che fanno terapia con gli anticorpi monoclonali anti-amiloide; se ne distinguono due tipi: ARIA-E che indica l’edema cerebrale, conseguente alla rottura della cosiddetta barriera emato-encefalica. L’ARIA-H invece consiste in micro-emorragie cerebrali.

“Alla luce di queste osservazioni, quindi, l’advisory board è stato chiamato a garantire e a valutare il rapporto rischio-beneficio di questo farmaco. Un fatto che rappresenta naturalmente un rallentamento del processo di approvazione, ma non significa che Fda abbia fatto un passo indietro. Di certo rappresenta un momento di ripensamento da parte dell’agenza regolatoria americana nel definire i criteri di sicurezza e di somministrabilità del farmaco a determinate categorie di pazienti”.

Intanto la ricerca di un trattamento contro l’Alzheimer guarda avanti, al di là degli anticorpi monoclonali contro l’amiloide beta. Il sogno di tutti è mettere a punto farmaci in grado di ‘rimuovere’ dal cervello la beta-amiloide e non solo di rallentarne i depositi. Biogen e J&J stanno sviluppando terapie che hanno come target la proteina tau, un’altra molecola implicata nella malattia di Alzheimer. Ci si muove anche seguendo il pensiero laterale, come nel caso di semaglutide, il farmaco-miracolo (e blockbuster) anti-diabete e obesità di Novo Nordisk, intorno al quale è stato costruito un trial (i risultati arriveranno a fine 2025) per valutarne anche i potenziali effetti neuro-protettivi.

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