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Per decenni abbiamo dato per scontati gli antibiotici, una delle principali conquiste della storia della medicina, e i loro effetti positivi nei confronti delle malattie infettive, nel supporto a procedure vitali, nella riduzione della mortalità e nell’incremento della aspettativa di vita. Ma da un quarto di secolo abbiamo dovuto prendere atto che tutto questo, in realtà, è messo in discussione dall’antimicrobico resistenza (Amr), il fenomeno per cui i microrganismi diventano resistenti ai farmaci normalmente utilizzati per combatterli.

L’Europa è particolarmente interessata dagli effetti di questo fenomeno, in particolare i Paesi del Sud e dell’Est. L’Italia si conferma, nonostante qualche lieve progresso, uno dei territori maggiormente colpiti, stabilmente agli ultimi posti delle graduatorie, tanto per giornate di ospedalizzazione per infezioni da patogeni resistenti che per decessi.

Le strategie di contrasto dell’antimicrobico resistenza, dall’Oms in giù, passando per l’Europa, seguono un approccio multidisciplinare e multifattoriale e investono su prevenzione e sorveglianza, e stewardship antimicrobiche per l’utilizzo appropriato e responsabile degli antibiotici, tanto nell’uomo che negli animali. “Ma i risultati in Italia – ricorda Matteo Bassetti, professore ordinario di Malattie infettive all’Università degli Studi di Genova – appaiono ancora modesti, anzi dovremmo parlare di un vero e proprio fallimento”. Secondo Valeria Fava, responsabile delle politiche della salute di Cittadinanzattiva, “avremmo bisogno di una poderosa attività di informazione e di creazione di consapevolezza nella cittadinanza. E ricordare che l’applicazione dei Piani di azione richiede un occhio particolarmente attento a come si traducono nella realtà, soprattutto guardando alle disomogeneità territoriali”. Considerazioni confermate anche da Gaetano Biallo, direttore generale di Ail, Associazione italiana contro leucemie, linfomi e mieloma. “Nel nostro lavoro di supporto quotidiano a pazienti e familiari constatiamo, purtroppo, disuguaglianze e divari significativi tra le diverse aree del Paese, e ritardi inaccettabili anche su questo terreno”.

Per Anna Teresa Palamara, direttrice del dipartimento di Malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, per cambiare marcia è indispensabile “promuovere innovazione pensando ad una filiera che sia in grado di connettere, nel lungo periodo, tutto ciò che di innovativo si propone in termini di diagnostica, nuove molecole, nuove strategie di contenimento, una filiera virtuosa che passi dalla ricerca allo sviluppo in maniera continuativa”.

Qualunque strategia di contrasto dell’antimicrobico resistenza non può fare, comunque, a meno di nuovi antibiotici, possibilmente che utilizzino nuovi meccanismi di azione. Ma già da alcuni anni l’Oms richiama l’attenzione sulla inadeguatezza della pipeline attuale. Ritorno sugli investimenti limitato, potenziale di mercato incerto e, comunque, inadeguato a coprire costi di ricerca e sviluppo elevati, trial clinici complessi, processi regolatori lunghi hanno concorso a determinare negli ultimi trent’anni l’abbandono crescente del settore da parte delle grandi aziende, che trovano più appetibili altre aree terapeutiche. Ricerca e sviluppo di nuovi antibiotici non sono più sostenibili nel contesto attuale. Alcuni Paesi, come Svezia, Regno Unito, Germania, Canada, stanno tentando di correre ai ripari sperimentando meccanismi di incentivazione di R&S, i cosiddetti incentivi push, e nuovi sistemi di rimborso, attraverso incentivi pull.

L’esperienza di quanto è accaduto 20-25 anni fa per l’oncologia e, subito dopo, per i farmaci orfani, entrambi settori per i quali si registrano oggi investimenti consistenti e molte nuove molecole in via di sviluppo, suggerisce che si può invertire la rotta e far ritornare attrattiva questa area terapeutica. A patto che si recuperi consapevolezza del valore degli antibiotici e della necessità di ricreare le condizioni per la loro sostenibilità. Per il professor Filippo Drago, ordinario di Farmacologia all’Università di Catania, una ipotesi di lavoro possibile potrebbe riguardare, in Italia, “l’introduzione di un fondo per i nuovi antibiotici, sul modello adottato per i farmaci innovativi”.

Valutazione condivisa anche dal professor Nicola Silvestris, segretario nazionale dell’Aiom (Associazione italiana di oncologia medica), che sottolinea che il fondo ha funzionato molto bene per i farmaci oncologici. “Andrebbero anche rivisti – prosegue Drago – i criteri per il riconoscimento della innovatività, individuando un percorso facilitato e calibrato per i nuovi antibiotici”. Della stessa opinione il professor Bassetti, che sottolinea che “l’Aifa dovrebbe accettare, per il riconoscimento della innovatività, studi che coinvolgano target più mirati con infezioni severe, in pazienti fragili e sostenuti da patogeni multiresistenti. E cambiare i meccanismi di fissazione di prezzo e rimborso dei nuovi antibiotici, prendendo atto che quelli attuali non favoriscono l’ingresso di nuove molecole”.

Qualunque sia la soluzione tecnica prescelta, tenuto conto della complessità della emergenza antimicrobico resistenza, bisognerà promuovere ragionamenti condivisi e azioni sinergiche che coinvolgano tutti gli attori in campo: settore pubblico, mondo industriale, società scientifiche, organizzazioni di tutela del diritto alla salute, per trovare soluzioni strutturali al problema che consentano di tornare rapidamente a disporre degli strumenti necessari per continuare a combattere i superbatteri e le resistenze antimicrobiche.

Nell’immagine in evidenza uno degli incontri del Gruppo di lavoro sull’antimicrobico resistenza.

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