Intelligenza artificiale contro una nuova pandemia

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Non sappiamo quando arriverà. Né sappiamo con esattezza quando. Ma siamo certi che in futuro una nuova pandemia busserà alle porte dell’umanità. E sarà necessario farsi trovare pronti. Recita più o meno così il canone informativo di queste settimane, con l’obiettivo di non far abbassare la guardia e continuare a vigilare in ottica di One Health.

Certo è che nelle more di un evento potenzialmente così “disrupting” per il singolo e per i sistemi sanitari, predisporsi ad affrontare la situazione significa soprattutto disporre di dati, informazioni ed altri aspetti che aiutino a mettere in atto difese specifiche, magari anche ipotizzando quante e quali persone sarebbero disposte a ricorrere alla prevenzione vaccinale.

Magari con sistema di Intelligenza Artificiale, ma senza dover disporre di un quantitativo di dati così imponente da risultare comunque difficile da ottenere. Insomma, una “mini-AI”, efficiente ma di pronto uso e soprattutto basata su pochi dati demografici, sapientemente mixati a giudizi personali. Qualcosa del genere, in termini di prototipo, esiste. E va tenuto presente. Perché, magari senza disporre di big data, potrebbe aiutare a definire le persone più “portate” nei confronti di un ipotetico nuovo vaccino pandemico e più in generale verso la prevenzione vaccinale. Magari partendo proprio dall’esperienza Covid.

Se questa ipotesi di lavoro appare interessante, sappiate che uno strumento di Intelligenza artificiale in grado di ragionare in questi termine, e soprattutto con un numero limitato di dati, è già stato sperimentato. E ha dimostrato di prevedere chi sarebbe maggiormente portato a proteggersi nei confronti del virus Sars-Cov-2, unendo alle informazioni sociali e sanitarie di base anche la tendenza a valutare perdite e rischi, in un mosaico di dati che appare in grado di guidare la risposta dei giudizi.

A manifestare questa opportunità è uno studio degli scienziati dell’Università di Cincinnati e dell’Università Northwestern (autrice principali Nicole Vike), apparso sul ‘Journal of Medical Internet Research Public Health and Surveillance’. Grazie a questa ricerca é stato infatti realizzato un modello predittivo attraverso un sistema integrato di equazioni matematiche che in pratica “mixano” sapientemente, come in un cocktail tra matematica e percezione, modelli di giudizio di ricompensa e avversione al rischio con l’apprendimento automatico.

Il tutto, va detto, con un numero minimo di variabili e risorse computazionali per fare previsioni. In pratica, quindi, con questa sorta di “sorella minore” (in termini di dati immessi e considerati) della classica AI si potrà disporre di indicazioni utili a prevedere quante e quali persone saranno più portate a vaccinarsi. E, quindi, organizzare la sanità pubblica e i ricoveri in base alle necessità della specifica area. 

Lo studio, su quasi 3.500 adulti, ha preso in esame dopo oltre un anno di disponbilità di vaccini per Covid dati anagrafici, sociali e di assenza di “Digital Divide”, oltre alla scelta vaccinale e alla tendenza a seguire regole semplici mirate a ridurre il rischio di diffusione del virus, dall’impiego della mascherina fino al distanziamento sociale e al regolare lavaggio delle mani.

Poi sono state fatte osservare ai partecipanti immagini a colori evocative, per valutare quanto e come il singolo si lasci andare con le proprie caratteristiche matematiche quando influenzato da stimoli emotivi. Questi dati appaiono importanti per gli economisti comportamentali che valutano l’avversione al rischio (il punto in cui qualcuno è disposto ad accettare una potenziale perdita per una potenziale ricompensa) e l’avversione alla perdita.

Grazie a questa ulteriore valutazione, con poche variabili monitorate tra chi aveva scelto di vaccinarsi e ci invece non aveva voluto, si è arrivati a definire il programma di AI che ha mostrato di poter prevedere con buona accuratezza scelte ed atteggiamenti umani. Senza richiedere sforzi enormi in termini di raccolta dei dati. Gli esperti, come riporta una nota di presentazione dello studio, hanno infatti identificato poche variabili demografiche e 15 sole variabili di giudizio in grado di predire la disponibilità a vaccinarsi e la successiva vaccinazione con un’accuratezza da moderata ad alta e con un’elevata precisione.

Insomma: forse i big data non sono proprio sempre necessari. Forse scegliendo informazioni più interpretabili, in certi casi si può comunque giungere a definire un trend. E quindi avere strumenti di programmazione sanitaria.

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