Influenza aviaria nelle mucche, ecco come muta il virus

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L’influenza aviaria che, in vari Stati americani tra cui il Texas, ha colpito le mucche da latte, potrebbe aprire la strada a una nuova pandemia? Ad analizzare la questione è un lavoro firmato dall’epidemiologo Massimo Ciccozzi, insieme a diversi colleghi fra cui Francesco Branda dell’Universita Campus Bio-Medico di Roma e a Fabio Scarpa dell’Università di Sassari, appena accettato per la pubblicazione su ‘Travel Medicine and Infectious Disease’.

Una questione non da poco: nei giorni scorsi, in un report congiunto dell’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e della European Food Safety Authority (Efsa), si leggeva che “se i virus dell’influenza aviaria A/H5N1 acquisissero la capacità di diffondersi tra gli esseri umani, potrebbe verificarsi una trasmissione su larga scala”.

Segnali da non sottovalutare

Il team ha voluto indagare meglio. Attraverso l’analisi genomica, scrivono i ricercatori nel lavoro, “abbiamo identificato segnali di adattamento evolutivo del virus nei mammiferi e ospiti aviari, indicando potenziali cambiamenti nel suo comportamento patogenico e trasmissivo. Riteniamo dunque che il nostro studio offra importanti spunti per comprendere le dinamiche del virus e il suo potenziale impatto sulla salute umana“.

I risultati

Questo virus aviario, “che era già stato trovato in passato nei mammiferi come i visoni e i leoni marini, finora non era mai stato rilevato nelle mucche”, sottolinea Ciccozzi a Fortune Italia.

“Questa è una novità: il ceppo in questione appartiene al virus dell’oca, è stato introdotto dagli uccelli migratori selvatici, ma il problema sono le mutazioni. Nel nostro lavoro non abbiamo individuato mutazioni importanti analizzando emoagglutinina e neuraminidasi: abbiamo trovato un solo sito sotto selezione positiva (nel primo caso solo nei virus aviari, nel secondo nei mammiferi), mentre ne abbiamo individuati diversi sotto selezione negativa”, sintetizza l’epidemiologo.

Cosa vuol dire? “C’è una sorta di adattamento del virus al nuovo ospite, ma dobbiamo leggere questi risultati come un avviso: negli allevamenti intensivi il virus circola e fa mutazioni. In particolare, nei mammiferi la mutazione positiva sulla neuroaminidasi è ‘spia’ di adattamento. Insomma, l’influenza aviaria va tenuta sotto controllo e non dobbiamo sottovalutarne i rischi”, dice Ciccozzi.

Le priorità

Allora cosa fare? “Dobbiamo tenere alta la guardia: negli allevamenti, gli animali malati vanno isolati e trattati. Il perchè ce lo dice l’approccio One Health: la salute animale ha un impatto su quella umana, oltre che sull’economica. La buona notizia è che si sta già studiando un vaccino per i bovini per ostacolare la diffusione del virus. Inoltre è importante non consumare latte non pastorizzato, naturalmente. Ma, soprattutto, dobbiamo mantenere alta la sorveglianza, per non farci sorprendere ancora da un virus”, conclude Ciccozzi.

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