One Health, dall’analisi all’azione: la strategia dell’Intergruppo Parlamentare

La salute umana, animale e ambientale sono tre elementi interconnessi in modo sempre più stretto nel concetto di One Health. Questo approccio olistico e integrato, basato su una visione complessiva, mira a massimizzare il benessere delle persone, degli animali e degli ecosistemi.

E proprio dall’urgenza di passare all’azione, mettendo in campo delle azioni concrete per la salvaguardia di questa ‘salute unica’, che lo scorso giugno alla Camera dei Deputati è nato l’Intergruppo Parlamentare One Health, promosso dagli onorevoli Luciano Ciocchetti e Ylenja Lucaselli. All’intergruppo hanno aderito finora 25 fra deputati e senatori.

Il nuovo incontro dell’intergruppo – moderato dal caposervizio di Fortune Italia Margherita Lopes – non poteva avere luogo in un momento più appropriato. Il mese appena archiviato è stato infatti il marzo più caldo di sempre (14,4 gradi), in un 2024 che si preannuncia come l’anno in cui verrà superata la soglia di 1,5 gradi di riscaldamento globale della Terra.

“Il tavolo sta portando avanti tre linee di sviluppo: ampliare l’uso dei dati, integrare la valutazione del rischio e creare programmi educativi e formativi che contribuiscano a cambiare la narrazione su salute e sostenibilità. L’obiettivo è arrivare a formulare proposte operative entro giugno”, annuncia Barbara Gallani, responsabile del dipartimento comunicazione e cooperazione scientifica EFSA e membro del Comitato tecnico scientifico di esperti che affianca l’integruppo.

L’interoperabilità dei dati è uno dei temi caldi dell’intergruppo, un aspetto imprescindibile per la tutela della salute tout court e la prevenzione delle malattie. “L’opacità del fascicolo sanitario è la nostra bestia nera”, confessa Luigi Principato, docente di diritto costituzionale all’Università degli studi della Tuscia. “È arrivato il momento di fare chiarezza sulla base giuridica di trattamento del dato: quando c’è in ballo l’interesse pubblico, il consenso cessa di essere rilevante. I dati hanno una funzione di tutela della salute individuale, ma anche una funzione di carattere sociale. Una volta anonimizzato, il dato serve per finalità statistiche e di prevenzione”. 

“Il nostro obiettivo deve essere quello di colmare il gap digitale dell’Italia – evidenzia Ylenja Lucaselli – In ottica One Health serve collaborazione fra i ministeri nella raccolta dei dati. I dati sono molto preziosi, perché ci dicono quali sono le malattie più diffuse, le percentuali di cura e di superamento della malattia. Avere un proprio curriculum sanitario consentirebbe al paziente di ricevere sempre e ovunque le cure più appropriate. E di risparmiare risorse economiche”. 

Sull’importanza della condivisione dei dati verte anche l’intervento di Luciano Ciocchetti, l’altro promotore dell’intergruppo. “I dati purtroppo non circolano, troppo spesso restano all’interno della singolo Regione e a volte non si muovono nemmeno fra un ospedale e un altro. Noi, come XII Commissione, dobbiamo risolvere un problema sulla ricerca: bisogna modificare la norma che ancora oggi obbligherebbe, ogni volta che si avvia una ricerca su dati clinici, a richiedere il consenso a ogni singolo paziente. Vuol dire non fare più ricerca”.

“Oggi One Health è sulla bocca di tutti – sottolinea Ilaria Capua, virologa della Johns Hopkins University SAIS Europe – ma  nasce alla fine degli anni ’60 e ha avuto una serie di evoluzioni. Io lo spingerei ancora oltre,  con uno sguardo sempre più ampio, raccolto nel concetto di salute circolare”. 

La pandemia Covid-19 – nella fattispecie il fenomeno dello spillover da cui si è originata – ci ha ricordato in maniera drammatica l’interconnessione fra uomo, animali e ambiente. Oggi, archiviata l’emergenza Covid, nuove zoonosi turbano i sogni degli epidemiologi e delle istituzioni sanitarie: dall’allarme Dengue in Sud America all’influenza aviaria che ha colpito le mucche da latte negli Stati Uniti. 

Minacce da non sottovalutare ma a cui dare il giusto peso, come ci ricorda Massimo Ciccozzi, infettivologo e docente dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. “La pandemia ha cambiato i nostri stili di vita: è stato un evento da cui ciascuno di noi ha imparato molto, soprattutto in termini di prevenzione e sorveglianza. In certi aspetti la comunicazione si è spinta anche oltre: penso all’allarmismo per la Dengue o per l’aviaria. Non sono fenomeni da sottovalutare, certo. Però il nostro Paese non ha il clima tropicale del Brasile, per cui starei abbastanza tranquillo”.

“La specie umana è in assoluto quella che consuma più risorse e produce più rifiuti”, spiega Alberto Mantovani del centro studi KOS, scienza arte società. “La sfida più grande che dobbiamo affrontare è quella relativa alle emissioni derivanti dall’attività umana. E alla disponibilità limitata delle risorse pulite fondamentali per la vita, come l’acqua”. 

“L’approccio One Health non dimentichi i mari – è l’appello di Raffaella Giugni, responsabile delle relazioni istituzionali di Marevivo. “La nostra salute dipende da quella del mare, che a sua volta dipende dalle nostre azioni. Il mare produce più del 50% dell’ossigeno che respiriamo e assorbe il 30% dell’anidride carbonica e lo fa in modo più rapido della terra. Inoltre è regolatore del clima e un mare non in salute contribuisce al cambiamento climatico. Siamo vicini al punto di non ritorno – avvisa Giugni – Con 1,5 gradi in più noi siamo malati, abbiamo la febbre. Al mare e al pianeta sta accadendo la stessa cosa. Dobbiamo accelerare la transizione energetica. E per questo serve una transizione culturale”. 

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