Pharma, le sfide per Menarini che punta a crescere “un passo alla volta”

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Un fatturato in crescita, realizzato per il 79% all’estero, e una vocazione internazionale che risale al 1886 (anno della fondazione a Napoli). Ma un cuore saldamente tricolore: Menarini è la prima delle Fab13, le imprese a capitale italiano che hanno reso il pharma Made in Italy celebre nel mondo. Solo nel 2023 l’azienda – che dà lavoro a 17.800 dipendenti, di cui 3.500 nel nostro Paese – ha prodotto 833 mln di confezioni di medicinali e 16 miliardi di compresse, forte di 18 stabilimenti e 9 centri di ricerca. Portando a casa 4,375 mld di euro di fatturato, con un +5,3% rispetto al 2022.

E se per il 2024 le parole chiave saranno ‘innovazione’, ‘AI’ e ‘nuove frontiere della scienza’, il Gruppo resta saldamente legato al nostro Paese, come ha chiarito Lucia Aleotti, azionista e membro del board di Menarini, presentando i conti 2023. “Come azienda italiana tengo a sottolineare che la nostra attenzione al Paese non diminuisce in parallelo alla nostra ispirazione internazionale, al contrario: non fa parte della nostra logica alcuna idea di delocalizzazione”.

L’imprenditrice è figlia di Alberto Sergio Aleotti, arrivato a dirigere l’azienda negli anni ’60 e diventato col tempo prima socio, quindi proprietario unico. D’altronde il farmacista Archimede Menarini aveva ‘battezzato’ la sua impresa Farmacia Internazionale Menarini proprio guardando oltreconfine. All’inizio del ’900 l’arrivo a Firenze, quindi negli anni ai due siti fiorentini si sono aggiunti gli stabilimenti di Pisa (due), Pomezia, L’Aquila, Lomagna (Lecco) e Casaletto Lodigiano (Lodi).

“Menarini ha il suo cuore produttivo in Europa”, ha detto ancora Aleotti. Solo in Europa occidentale il Gruppo conta 5.208 dipendenti mentre in quella dell’Est sono 3.112. Ma lo sguardo va più lontano. Nell’anno passato “abbiamo avuto la sorpresa di avere gli Stati Uniti come secondo Paese in termini di peso dopo l’Italia. Si tratta del mercato farmaceutico più grande del mondo e del primo per capacità di ricerca. E questo è un risultato importante per un’azienda italiana”, ha sottolineato non senza un pizzico d’orgoglio l’imprenditrice, che era entrata solo nel 2020 negli Usa con l’acquisizione di Stemline, operazione che ha segnato anche l’ingresso del Gruppo nell’oncologia.

D’altronde, come ci aveva detto qualche tempo fa, Aleotti resta convinta che quello farmaceutico sia “un settore strategico, che non solo contribuisce a creare salute nel Paese e a offrire straordinarie opportunità occupazionali di alto livello a giovani e donne, ma che svolge un ruolo fondamentale anche dal punto di vista della sicurezza nazionale”. E che il Made in Italy nel settore abbia molto da dire.

Tornando alla classifica ‘internazionale’, dopo Italia e Stati Uniti troviamo Spagna e Polonia. Mentre la Germania – qui il gruppo conta due stabilimenti a Berlino e uno a Dresda – ha vissuto un momento difficile per la scadenza di alcuni brevetti. Restando sul fronte delle criticità, “la Cina non ha mantenuto le promesse”, ha scandito con chiarezza Aleotti. E le prospettive del colosso asiatico non lasciano intravedere un cambiamento, almeno a breve.

Se il settore in questi anni ha fatto i conti con le varie crisi internazionali, il Gruppo non è stato da meno. “L’aumento dei costi legato all’inflazione, alle materie prime, alle retribuzioni in tutte le parti del mondo, si ripercuote in maniera diretta su un’azienda farmaceutica come la nostra. E questo perché i prezzi dei farmaci, a differenza di quelli che sono i beni e servizi di qualsiasi altro genere, non possono essere adeguati all’inflazione, sicuramente non in Europa e nella maggior parte dei Paesi, perché sono fissati dai governi, negoziati magari vent’anni fa e sempre spinti al ribasso per aumentare la sostenibilità dei sistemi sanitari: però su gran parte dei portafogli ora ci sono degli elementi di criticità che devono essere gestiti accuratamente, considerato l’aumento di tutti i costi industriali”.

Se i ‘gioielli’ del Gruppo sono l’antipertensivo Olmesartan* (da 328 mln di euro), l’antitumorale Elacestrant* (300 mln di euro) e l’antipertensivo Nebivololo* (252 mln di euro), il Gruppo vanta una ricca pipeline in sviluppo tra oncologia, settore cardio-metabolico e anti-infettivi. “Mettere a punto farmaci contro i batteri resistenti è complicatissimo, e le aziende che ci riescono si trovano di fronte ad autorità che vogliono, anche giustamente, limitarne l’utilizzo per non ingenerare nuove resistenze. Ma così le imprese non sono incentivate” a fare ricerca, ha spiegato Aleotti. Convinta che serva un cambio di mentalità: il modello utilizzato per i farmaci orfani potrebbe essere la strada anche per favorire lo sviluppo di nuovi antibiotici.

Da Firenze Aleotti ha rivendicato gli importanti investimenti nel nostro Paese: “L’Ebidta resta in azienda da oltre 25 anni”. E ha assicurato: “Continueremo a crescere in Usa, con lanci in oncologia in Europa e guarderemo con interesse ma prudenza alla Cina, senza una bulimia espansionistica, ma un passo alla volta”. Con “una traiettoria di sviluppo molto chiara, che cerca di fare a meno delle banche” e ignora le sirene della Borsa, ma allo stesso tempo è “capace di mosse coraggiose”.

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