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Tumori: reti oncologiche, operatori, fondi. Cosa manca

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Dieci mln di euro l’anno non possono bastare, le Reti oncologiche funzionano solo in alcune Regioni e gli operatori, che già scarseggiano, saranno sempre meno. Ma soprattutto, a un anno dalla sua approvazione il Piano oncologico nazionale (Pon) non è ancora operativo. Si acuiscono così le differenze fra cittadini di serie A e di serie B per quando riguarda diagnosi e cure dei tumori.

A metterlo nero su bianco è 6° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, presentato a Roma in occasione della XIX Giornata nazionale del malato oncologico promossa da Favo (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) e dalle centinaia di Associazioni federate. Eppure “il funzionamento delle Reti oncologiche è garanzia di presa in carico multidisciplinare per i malati”, sottolinea a Fortune Italia Elisabetta Iannelli, segretario Favo. Ecco perchè la Federazione chiede con forza, fra le altre cose, “una Cabina di regia nazionale per monitorare l’attuazione del Piano e individuare i necessari incentivi, anche per evitare la lotteria del codice di avviamento postale per l’accesso alle migliori cure disponibili in Italia”, spiega Iannelli.

Una guida che non decolla e le priorità

Il Pon, che dovrebbe rappresentare il riferimento per la strategia di controllo dei tumori in Italia, resta insomma ancora sulla carta. E questo incide in modo concreto sulla quotidianità delle persone malate. Oltre all’istituzione della Cabina di regia nazionale sono 4 le priorità su cui lavorare con urgenza, a partire dalle Reti Oncologiche Regionali, che devono rappresentare la porta di ingresso del paziente oncologico nel sistema per la sua presa in carico globale. È indispensabile l’istituzione presso il ministero della Salute, del Coordinamento generale delle Reti Oncologiche (CRO), sottolineano da Favo.

La seconda priorità è rappresentata dalla realizzazione e diffusione dei Percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (Pdta), strettamente connessi alle Reti Oncologiche Regionali, di cui rappresentano l’elemento portante. La terza è costituita dalla programmazione e valorizzazione del personale del servizio sanitario: entro il 2025 è previsto un ammanco di oltre 43.000 specialisti. Infine, è necessario attivare la Rete Nazionale Tumori Rari, per superare le criticità nella cura dei pazienti colpiti da queste neoplasie e, soprattutto, a razionalizzare il fenomeno della migrazione sanitaria.

Chi può curarsi e chi non può

“È sotto gli occhi di tutti che, per la sanità pubblica, è venuto meno l’universalismo delle prestazioni, penalizzando particolarmente le persone socialmente più fragili e vulnerabili – spiega Francesco De Lorenzo, presidente Favo – La crisi strutturale del Ssn può infatti essere misurata con i livelli di diseguaglianza. È sempre più netta la distinzione tra cittadini che possono curarsi, ma con risorse proprie, e coloro che invece sono costretti a rinunciarvi. Il ricorso alla spesa privata è in forte crescita. Il Servizio Sanitario ha perso così, senza che il cambiamento fosse governato, la sua funzione di strumento di coesione sociale, ma soprattutto la sua natura di servizio universale. Servono risorse adeguate alla domanda di salute ma con urgenza occorrono almeno investimenti selettivi in oncologia, a partire dagli screening, nell’ottica dell’appropriatezza e della sostenibilità”.

“Il cancro determina un fabbisogno di assistenza diretto e indiretto complesso e multidisciplinare, che si proietta addirittura dopo la guarigione clinica, tanto che le disuguaglianze per i malati di tumore sono ancor più marcate. Le peculiarità del cancro e la complessità del fabbisogno di assistenza che deriva da questa malattia fanno sì che l’oncologia possa rappresentare un laboratorio di soluzioni valide per tutto il sistema, anche in grado di trainarne la ripresa”, suggerisce ancora De Lorenzo.

I numeri del cancro

Nel 2023 sono stimate 395.000 nuove diagnosi di tumore in Italia: in tre anni, l’incremento è stato di 18.400 casi. “La maggiore incidenza e la possibilità di cronicizzare la malattia producono una continua crescita, anche prolungata nel tempo, dei carichi assistenziali”, evidenzia Carmine Pinto, Past President Ficog (Federation of Italian Cooperative Oncology Groups). “I Percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali sono fondamentali per il funzionamento delle Reti Oncologiche Regionali e consentono di migliorare la qualità delle cure, ma nel Piano Oncologico Nazionale non è prevista nessuna indicazione sulle risorse indispensabili per coprire figure necessarie quali i clinical study coordinator, gli psiconcologi, i nutrizionisti o i fisiatri. Allo stesso modo, non vengono individuati e definiti i percorsi per la continuità e integrazione assistenziale tra ospedale e territorio”.

La Cabina di regia

Dal report non emergono solo ombre. In Italia la sopravvivenza per i tumori a 5 anni raggiunge il 60% e quasi 4 milioni di cittadini vivono dopo la diagnosi. “A questi dati, risultato dell’alta qualità del nostro Servizio sanitario, si contrappongono difficoltà crescenti, che riguardano la tenuta del sistema in tutti gli ambiti della strategia di controllo dei tumori”, dice Iannelli, dagli screening, “con differenze di copertura che superano il 40% tra le Regioni del Nord e quelle Sud, alle difficoltà di accesso ai test di biologia molecolare, ai percorsi terapeutici, ai programmi di riabilitazione fisica e psico-sociale, alla ricerca. Da qui la richiesta di istituire quanto prima la Cabina di regia nazionale che monitori il Piano, ne valuti i risultati e individui i necessari incentivi per le Regioni”.

I fondi che non bastano

C’è poi la questione dei finanziamenti. Il riparto del fondo per l’implementazione del Piano Oncologico Nazionale per il periodo 2023-2027 parla chiaro: alla Lombardia sono destinati poco più di 1.700.000 euro per ciascun anno, alla Basilicata circa 83.000. Si tratta di cifre “a dir poco irrilevanti, del tutto insufficienti a raggiungere gli obiettivi previsti dal Piano oncologico nazionale”, insiste Iannelli.

L’impatto della fuga dei cervelli

Il rapporto mette in luce un altro aspetto: dal 2000 al 2022 sono ‘migrati’ all’estero circa 140.000 medici italiani e la maggior parte è impegnata nella Ricerca clinica o di base, che non era stato per loro possibile portare avanti nel nostro Paese. “Senza i professionisti cadono i capisaldi del sistema universalistico: equità e uniformità di accesso alla prevenzione, cura e riabilitazione – afferma Paola Varese, presidente del Comitato Scientifico di Favo – Dobbiamo partire dalle carenze e criticità attuali che, se non colmate, rischiano di far mancare medici e infermieri nei prossimi dieci anni. L’innovazione, inoltre, sta cambiando il lavoro ed i bisogni professionali in sanità. Sempre di più la medicina si avvarrà di tecnologie che provengono da mondi diversi, dalla medicina di precisione, dalla robotica, dalla digitalizzazione, all’intelligenza artificiale fino alla realtà virtuale”. Ma la tecnologia e la lotta ai tumori hanno bisogno dell’uomo: chi ci curerà domani?

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