I numeri colpiscono come un pugno. Sono state oltre 18mila nel 2024 le segnalazioni di aggressioni a operatori sanitari in Italia ai danni di 22mila operatori coinvolti. Infermieri, medici di pronto soccorso, psichiatri, professionisti del 118, farmacisti, persino veterinari. A finire nel lungo elenco delle vittime di violenza sono giovani ai primi incarichi, specialisti sul filo della pensione e tante donne. Legati da un filo comune: per lavoro e vocazione, si tratta di professionisti impegnati nella cura. Oltretutto, come fanno sospettare i resoconti della cronaca, il trend è in crescita.
L’indagine nelle strutture
Stando a una survey condotta nelle aziende sanitarie italiane in occasione della Giornata nazionale contro la violenza sugli operatori sanitari e sociosanitari, nel 2024 le aggressioni ai danni del personale sanitario sono aumentate del 5,5%, con una media di 116 episodi l’anno per ogni Asl.
“L’inasprimento delle pene per chi aggredisce il personale sanitario è un segnale importante, ma non sufficiente a risolvere il problema”, sostiene Giovanni Migliore, presidente della Fiaso (Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere). Convinto che “la deterrenza da sola non basta: servono ambienti di lavoro più sicuri, formazione adeguata per gli operatori e un monitoraggio costante del fenomeno. Un’azione necessaria riguarda il miglioramento dell’organizzazione del sistema sanitario per ridurre le tensioni, in particolare nei pronto soccorso, dove sovraffollamento e lunghe attese sono spesso all’origine di episodi di aggressività”.
Gli fa eco il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli: “All’indignazione e alla dissuasione deve affiancarsi la potenza della ragione, per individuare il senso e le cause dell’incredibile trasformazione dei luoghi della cura: da santuari inviolabili, quasi sacri per cittadini e medici a luoghi della frustrazione e della rabbia per troppi cittadini, a luoghi della paura per i medici”.
I numeri del ministero della Salute
Il monitoraggio effettuato dall’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie (ONSEPS), istituito presso il ministero della Salute, evidenzia un aumento delle segnalazioni rispetto allo scorso anno (+15%), a riprova della maggiore consapevolezza dell’importanza della denuncia.
I dati raccolti per il tramite dei Centri Regionali per la Gestione del Rischio Sanitario, relativi alle segnalazioni volontarie dei professionisti mostrano che, per il 2023, a segnalare i due terzi delle aggressioni sono state le donne (oltre il 60%), i più coinvolti sono gli infermieri e i setting più rischiosi sono l’ospedale, il pronto soccorso e l’ambulatorio.
I dati dell’indagine Fnomceo sulla violenza
Da pazienti e familiari frustrati e disillusi, i ‘camici bianchi’ “sono visti come i terminali di tutto quel che non funziona nella sanità, solo perché presenti nelle strutture e fisicamente raggiungibili. Così i professionisti della salute da vittime di una crisi sistemica esito di scelte fatte altrove da altri attori, agli occhi di pazienti e familiari ne diventano i principali responsabili”, dice ancora Anelli.
Il numero uno dei medici si dice certo che, per contrastare efficacemente il fenomeno, occorra “un massiccio rilancio del Servizio sanitario che allenti la pressione che nel quotidiano la domanda sanitaria dei cittadini. Del resto, investire in sanità significa anche promuovere lo sviluppo dell’economia italiana, visto che ogni euro di spesa sanitaria pubblica ne genera quasi due di valore nella produzione dei vari settori economici attivati”.
Le vittime della violenza
Stando all‘indagine Censis e al Focus dell’Istituto Piepoli per Fnomceo la violenza dilaga in corsia, nei pronto soccorsi, negli ambulatori, nelle guerdie mediche e persino nelle ambulanze. Nel 2023 sono stati 18.213 gli operatori sanitari coinvolti in aggressioni: per il 26% fisiche, circa il 68% verbali e il 6% contro la proprietà. Tra gli operatori sanitari coinvolti, il 64% è maschio e il 36% femmina.
Il 60% delle aggressioni ha riguardato infermieri, il 15% medici chirurghi, il 12% operatori sociosanitari e il 3% il personale non sanitario. Autori delle violenze sono stati nel 69% dei casi pazienti, nel 28% parenti, caregiver e nel 3% persone non legate a pazienti. Il 78% delle aggressioni ha avuto luogo in ospedali.
Anche i veterinari, in particolare quelli che operano nei servizi dei dipartimenti di prevenzione garantendo la sicurezza degli alimenti, il benessere e la salute degli animali, sono “esposti a minacce e intimidazioni da parte di operatori del settore che non accettano le decisioni prese nell’interesse della salute pubblica”, denunciano dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Veterinari Italiani (Fnovi), ribadendo che i colleghi si trovano spesso a operare “in situazioni di forte tensione, dove rilevanti interessi economici e commerciali sono in gioco, in contesti di mafia e di criminalità organizzata”. La federazione ha realizzato una locandina per sensibilizzare la popolazione sulla gravità della violenza contro gli operatori.
All’origine della frustrazione dei cittadini
Ma cosa innesca la violenza? L’85% degli italiani è spaventato dalle aggressioni ai medici: un dato che cresce ulteriormente, raggiungendo quota 91%, tra gli over 54, che hanno un rapporto di maggiore frequentazione con il medico.
È questo uno dei risultati del Focus sulla percezione del cittadino e dei medici riguardo al fenomeno della violenza in sanità, realizzato dall’Istituto Piepoli, che ha condotto per Fnomceo un’indagine su due campioni: uno composto da 500 cittadini italiani maggiorenni e uno da 200 medici.
Stando all’indagine condatta su mille persone, l’87,3% degli italiani quando sta male vorrebbe tempo per dialogare con il medico, informazioni per capire la diagnosi, le terapie, la prognosi. Insomma, pazienza, ascolto e risposte.
Nella pratica, però, sempre stando al report dell’Istituto Piepoli, al 48,4% dei pazienti il medico ha potuto concedere troppo poco tempo e al 47,8% non hanno dato le informazioni di cui aveva bisogno. Il 52,2% ha vissuto, per sé o per un parente, un’esperienza negativa nel Pronto soccorso, con lunghissime attese e carenza di informazioni.
Così al 35,1% dei cittadini è capitato di non sentirsi rispettato nel rapporto con la sanità. Inoltre il 66,4% ha verificato la forte carenza di medici e infermieri nelle strutture sanitarie e il 72,3% un peggioramento nel Servizio sanitario.
Dall’altro lato il 66% dei medici, di fronte alle richieste di attenzioni di pazienti e familiari, riconosce di non avere abbastanza tempo per dialogare o dare informazioni e spiegazioni. Del resto, il 66% lavora in strutture o servizi con forti carenze di personale e il 51,8% deve ricorrere ad attrezzature obsolete o non perfettamente funzionanti.
La paura
Risultato? Il 41,2% dei medici non si sente più sicuro a causa della violenza, il 18% ha paura di lavorare di notte, l’11,8% di recarsi nel suo luogo di lavoro. Per il 91,2% dei medici è sempre più difficile e stressante lavorare nel Servizio sanitario. Inoltre, il 74,6% sente di lavorare troppo e si sente psicologicamente a rischio burn-out, (il 78,4% tra chi lavora negli ospedali).
E ancora: il 25,4% dei medici ha subito minacce da pazienti o dai loro familiari (il 34,1% dei medici che lavorano tra ospedali e ambulatori), il 16,4% ha subito denunce da familiari o pazienti, il 5,8% è stato perseguitato da hater sui social per ragioni legate al suo lavoro, il 3,8% ha sperimentato qualche forma di violenza fisica. Ormai il 42,8% dei medici ha paura delle reazioni di pazienti o familiari alle sue decisioni. E il 70,2% si sente stressato proprio dalle difficoltà nel rapporto con pazienti e familiari.
Altro che eroi
Ricordate i tributi ai camici bianchi negli anni di Covid-19? Oggi il 71,8% dei medici si sente il capro espiatorio delle carenze del Servizio sanitario. Da eroi a colpevoli di quel che non funziona: ecco la traiettoria psicologica vissuta da tanti medici in questo quadriennio. Del resto, il 51% sente di essere esposto all’aggressività dei pazienti.
La grande fuga
Cosa fare? Se la grande fuga dei camici bianchi è già una realtà, il 51,4% dei medici confessa la tentazione di andare a lavorare in un altro Paese. Inoltre il 32,6% vorrebbe cambiare posto di lavoro.
Quanto ai medici di medicina generale, in base ai dati presentati oggi il 73% ritiene che il rapporto di dipendenza nel Servizio sanitario per la medicina generale non sia una soluzione, e che sarebbe opportuno proseguire con il regime attuale.
Cosa fare?
La riposta, questa volta, non può arrivare dalla tecnologia secondo i cittadini. Ben il 72,4% degli italiani si dichiara convinto che algoritmi e AI non potranno sostituire il rapporto umano diretto col medico. Piuttosto, il 90,4% degli italiani apprezzerebbe nei Pronto Soccorso e negli ospedali la presenza di persone di riferimento, competenti e con il compito di relazionarsi direttamente con i familiari o i pazienti per informarli.
Inoltre l’86,8% degli italiani ritiene che nell’investire sul rilancio del Servizio sanitario un’attenzione particolare deve essere data a tutela e potenziamento dell’umanità, intesa come maggiore attenzione al malato come persona. Anche chi nella sanità lavora tutti i giorni ha la netta sensazione che, se non si procederà ad un cambio radicale di rotta si arriverà ad una crisi ancor più profonda e radicale.
La campagna per fermare la violenza
Intanto il ministero della Salute lancia una campagna di comunicazione per fermare le aggressioni, che proseguirà per tutto il mese di marzo. “Non dobbiamo abbassare la guardia. La sicurezza del personale sanitario e sociosanitario non è uno slogan, è una priorità. Per questo abbiamo approvato norme severe fino all’arresto in flagranza anche differita. Grazie al lavoro dell’Osservatorio abbiamo rafforzato le attività di prevenzione e formazione e insieme a tutte le categorie resta forte l’impegno per sensibilizzare i cittadini e promuovere la cultura del rispetto e della fiducia”, ha detto il ministro Orazio Schillaci.
Con la headline ‘Ti ha salvato. Ti salverà ancora. Rispetta chi si prende cura di te e dei tuoi cari’, l’iniziativa vuole portare all’attenzione il ruolo essenziale del personale sanitario. “Almeno una volta nella vita, ognuno di noi o una persona a noi cara ha ricevuto cure e assistenza da un operatore sanitario. La frase – evidenzia il ministero – crea un legame emotivo e induce alla riflessione sulla riconoscenza e il rispetto dovuti a chi si dedica alla salute altrui. La campagna informa inoltre che, con la Legge 171/2024, chi aggredisce chi lavora nei luoghi di cura rischia l’arresto in flagranza anche differita e sono previste pene più severe per chi danneggia beni delle strutture sanitarie”.
*Articolo aggiornato