Sarà che l’effetto volano del celebre anime di successo si è esaurito da tempo, sarà che carichi di lavoro e burnout spingono molti giovani a guardare all’estero. Fatto sta che il camice bianco di Candy Candy ha perso fascino e l’emorragia di infermieri non si arresta. Anzi, stando agli ultimi dati di Fondazione Gimbe il nostro Paese perde 10 mila professionisti l’anno.
Un male non soltanto italiano, ma certo il nostro Paese è messo male. Se il Paradiso degli infermieri è in Svizzera, il confronto con i numeri del resto d’Europa (e del mondo) è impietoso. Nel 2022 l’Italia contava 6,5 infermieri per 1.000 abitanti, dato ben al di sotto della Ue di 9. Nel Vecchio Continente peggio di noi fanno solo Spagna (6,2), Polonia (5,7), Ungheria (5,5), Lettonia (4,2) e Grecia (3,9).
E il futuro non fa ben sperare: 1 infermiere su 4 nel Ssn è vicino alla pensione e 1 su 6 lavora per strutture private. Insomma, mancano gli infermieri e la professione è sempre meno attrattiva: in 5 anni il rapporto fra posti e candidati è crollato da 1,6 a 1,04. Dunque è lecito chiedersi chi si occuperà domani della nostra salute?
Infermieri e sanità, che cosa sta succedendo
Secondo Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, “siamo di fronte a un quadro che compromette il funzionamento della sanità pubblica e mina l’equità nell’accesso alle cure, soprattutto per le persone anziane e più vulnerabili, sia in ambito ospedaliero che territoriale, dove gli investimenti del Pnrr rischiano di essere vanificati senza un’adeguata dotazione di personale infermieristico”.
Ecco dove questi operatori mancano di più
La ‘fotografia’, presentata al 3° Congresso Nazionale Fnopi di Rimini, evidenzia come nel 2022 il personale infermieristico fosse di 302.841 unità, di cui 268.013 dipendenti del Ssn e 34.828 impiegati presso strutture equiparate.
In Italia ci sono 5,13 infermieri ogni 1.000 abitanti, con forti disomogeneità territoriali: dai 3,83 della Campania ai 7,01 della Liguria. “Il numero di infermieri risulta più basso in quasi tutte le Regioni del Mezzogiorno, sottoposte ai Piani di rientro, oltre che in Lombardia”.
La grande fuga degli infermieri
Ogni anno perdiamo migliaia di infermieri, con un’accelerazione significativa nel biennio 2020-2021 e una vera e propria impennata nel 2022. Solo nel triennio 2020-2022 in 16.192 hanno detto addio al Ssn.
Un trend che “non viene compensato dall’ingresso di nuove leve, aggravando la carenza di personale e l’insostenibilità dei carichi di lavoro, con un inevitabile effetto boomerang su chi rimane in servizio”, dice il presidente Gimbe.
Non solo ben 42.713 infermieri si sono cancellati dall’albo Fnopi negli ultimi quattro anni, di cui 10.230 solo nel 2024. Fra pensionamenti, trasferimenti all’estero, decessi, morosità, abbandoni volontari della professione la professione infermieristica perde oltre 10 mila unità all’anno.
Infermieri, stipendi bassi e burnout: le mete della grande fuga
Una questione anche economica
Numeri che non stupiscono Andrea Bottega, segretario nazionale del Nursind, il quale invita a fare due conti: “Basta confrontare il nostro stipendio attuale, alla luce del tasso di rivalutazione Istat, con quello tabellare degli anni ’90 (Dpr 384/90) per toccare con mano l’enorme perdita di potere d’acquisto che abbiamo subito. In pratica abbiamo perso una cifra che si aggira sui 14mila euro. Tutto questo è accaduto perché la contrattazione non ha tenuto il passo dell’inflazione. Nove anni di blocco dei tavoli, infatti, sono una enormità. Ma pesa molto anche il fatto che le risorse dedicate agli infermieri siano state spalmate su tutto il personale del comparto”.
Nel 2022 la retribuzione annua lorda di un infermiere italiano era di 48.931 dollari a parità di potere di acquisto, ben 9.463 in meno rispetto alla media Ocse (58.394). In Europa, stipendi più bassi secondo Gimbe si registrano solo nei Paesi dell’Est (Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Repubblica Slovacca, Lettonia e Lituania), oltre a Grecia e Portogallo.
Il richiamo della pensione
E torniamo alla questione dell’età. Nel 2022 quasi 78 mila infermieri dipendenti del Ssn avevano più di 55 anni, ovvero oltre di 1 su 4, mentre il 22% si collocava nella fascia 50-54 anni. Ecco perchè “la sola variabile anagrafica basta a delineare uno scenario allarmante: senza un ricambio generazionale adeguato, la carena di infermieri è destinata ad acuirsi nei prossimi anni, quando si raggiungerà il picco della gobba pensionistica”.
Come intervenire: più soldi, servizi e sicurezza
Cosa fare? Occorre “un piano straordinario per la professione, con un duplice obiettivo: motivare i giovani a intraprenderla e trattenere chi già lavora nel Ssn“, dice Cartabellotta, che ha in mente un piano ambizioso, “fatto di interventi economici, organizzativi e formativi. Accanto ad un aumento salariale, è fondamentale intervenire con misure di welfare mirate: alloggi a costi calmierati, agevolazioni per trasporti pubblici e parcheggi, etc. Sul versante organizzativo, occorre garantire sicurezza sul lavoro e rivedere profondamente l’impianto operativo, con riforme coraggiose per valorizzare la collaborazione interprofessionale e utilizzare tutte le potenzialità della digitalizzazione e dall’innovazione tecnologica, inclusa l’intelligenza artificiale”.
Anche il leader del Nursind non ha dubbi: “Per fermare l’emorragia e non trovarsi impreparati anche di fronte alla gobba pensionistica, l’unica strada è valorizzare la professione sul piano economico e della carriera, affiancando a questi interventi un riconoscimento del lavoro come usurante. Non ci sono corsi universitari che tengano: i giovani di oggi non si avvicineranno mai a Scienze infermieristiche senza sapere di poter contare su determinate garanzie quando saranno avanti negli anni”, chiosa Bottega.
Sanità: stretta su medici e infermieri ‘gettonisti’, cosa cambia