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Vaccini: la scelta del braccio conta, ecco perché

vaccini braccio
Adyen Articolo
Velasco25

Qual è il braccio migliore su cui somministrare vaccini? Sembra un quesito insolito, ma la scelta in effetti fa la differenza. E non poco. Almeno nel caso dei richiami. A dircelo è il lavoro di un team di scienziati australiani: inoculare la seconda dose nello stesso braccio della prima può generare una risposta immunitaria più efficace e più rapida.

Lo studio, condotto dal Garvan Institute of Medical Research e dal Kirby Institute presso l’UNSW Sydney – pubblicato sulla rivista Cell – fornisce nuove informazioni che potrebbero contribuire a migliorare le strategie di immunizzazione. Ma il messaggio è chiaro: faremmo bene a ricordare quale braccio abbiamo usato la prima volta e a non cambiarlo.

Cosa accade dentro di noi grazie ai vaccini

I ricercatori hanno scoperto che, quando viene somministrato un vaccino, le cellule immunitarie specializzate – chiamate macrofagi – vengono “innescate” all’interno dei linfonodi. Ebbene, i macrofagi indirizzano le cellule B della memoria immunitaria per rispondere in modo più efficace al richiamo quando il prodotto viene somministrato nello stesso braccio.

I risultati, ottenuti nei topi e convalidati da un piccolo studio su soggetti umani, offrono un nuovo approccio promettente per migliorare l’efficacia dei vaccini. Si tratta di “una scoperta fondamentale su come il sistema immunitario si organizza per rispondere meglio alle minacce esterne: la natura ha creato questo sistema geniale e stiamo appena iniziando a comprenderlo”, afferma il professor Tri Phan, direttore del Programma di Immunologia di precisione presso il Garvan e coautore senior dello studio.

“Un aspetto unico ed elegante di questo studio – commenta Anthony Kelleher, direttore del Kirby Institute e coautore del lavoro – è la capacità di comprendere la rapida generazione di risposte efficaci ai vaccini. Ci siamo riusciti analizzando la complessa biologia nei topi e poi abbiamo ottenuto risultati simili negli esseri umani. Tutto questo è stato fatto nel sito in cui si genera la risposta vaccinale: il linfonodo”.

Un po’ di storia dei vaccini

Facciamo un passo indietro: con le vaccinazioni si insegna al sistema immunitario a riconoscere delle potenziali minacce e a preparare le difese necessarie per affrontarle. Un’idea testata per la prima volta nel 1796 dal medico inglese Edward Jenner.

Jenner notò che le mungitrici che contraevano il vaiolo bovino (versione molto più lieve del vaiolo umano), una volta guarite non sviluppavano la malattia umana. Così il medico decise di iniettare del materiale proveniente da una pustola di vaiolo bovino a un bambino, figlio del suo giardiniere, e la malattia umana non si manifestò.

Una sperimentazione che oggi farebbe sollevare più di un sopracciglio (e sarebbe respinta dai comitati etici), ma che di fatto segnò l’inizio dell’era dei vaccini. Soluzioni che, al di là di bufale e calunnie, restano fra gli strumenti di prevenzione più potenti a disposizione della sanità pubblica.

L’importanza di scegliere il braccio giusto

Torniamo ora alla questione del braccio da ‘pungere’. L’immunizzazione introduce nell’organismo una versione innocua di un agente patogeno, nota come antigene vaccinale, che viene filtrata attraverso i linfonodi, “campi di addestramento” che insegnano all’organismo a combattere il vero agente patogeno.

I ricercatori australiani avevano scoperto che le cellule B della memoria, cruciali per generare risposte anticorpali quando le infezioni si ripresentano, restano nel linfonodo più vicino al sito di iniezione.

Utilizzando l’imaging all’avanguardia del Garvan, il team ha scoperto che le cellule B della memoria migrano verso lo strato esterno del linfonodo interessato, dove interagiscono strettamente con i macrofagi che vi risiedono.

Quando un richiamo viene somministrato nella stessa sede, questi macrofagi “preparati” – già in stato di allerta – catturano efficacemente l’antigene e attivavano le cellule B della memoria per produrre anticorpi di alta qualità.

Come un direttore d’orchestra conto gli invasori

Rama Dhenni, coautore principale dello studio, accende i riflettori su questi macrofagi: “Inglobano i patogeni e rimuovono le cellule morte, ma la nostra ricerca suggerisce che quelli presenti nei linfonodi più vicini al sito di iniezione svolgono un ruolo centrale nell’orchestrare una risposta vaccinale efficace. Quindi la posizione” del richiamo “è importante”.

I dati sull’uomo

Per determinare la rilevanza dei risultati ottenuti sugli animali nel caso dei vaccini umani, il team del Kirby Institute ha condotto uno studio clinico su 30 volontari che hanno ricevuto il vaccino anti-Covid a mRma Pfizer-BioNTech. Venti soggetti hanno ricevuto la dose di richiamo nello stesso braccio della prima dose, mentre 10 in quello opposto.

“Coloro che hanno ricevuto entrambe le dosi nello stesso braccio hanno prodotto anticorpi neutralizzanti contro il Sars-CoV-2 in modo significativamente più rapido, entro la prima settimana dalla seconda dose”, afferma Alexandra Carey-Hoppé, co-autrice della ricerca e dottoranda del Kirby Institute.

E c’è di più, come spiega Mee Ling Munier, co-autrice senior e responsabile del gruppo di immunogenomica vaccinale presso il Kirby Institute. “Questi anticorpi, provenienti dallo stesso braccio, si sono rivelati anche più efficaci contro varianti come Delta e Omicron. Entro quattro settimane, entrambi i gruppi presentavano livelli anticorpali simili, ma la protezione precoce – riflette l’esperta – potrebbe essere cruciale durante un’epidemia”.

Uno sguardo al futuro

Oltre a porre le basi per perfezionare le linee guida, i risultati degli studiosi offrono una promettente opportunità per migliorare l’efficacia dei vaccini.

“Se riusciamo a capire come replicare o migliorare le interazioni tra le cellule B della memoria e i macrofagi – conclude Phan – potremmo essere in grado di progettare vaccini di nuova generazione che richiedono meno richiami”.

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