Studi clinici preziosi non solo per Big Pharma

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Innovazione chiave per lo sviluppo, non solo della medicina e delle nuove cure. Gli studi clinici sono infatti in grado di generare notevoli benefici per il Servizio sanitario nazionale (Ssn), sia in termini di investimenti che di risparmi economici. Ma in che modo?

Grazie all’obbligo di fornitura gratuita dei farmaci coinvolti nei trial clinici da parte delle aziende farmaceutiche promotrici, gli studi clinici si traducono sia in un risparmio per il Ssn sul costo dei farmaci da erogare ai pazienti, sia in entrate per le strutture ospedaliere che ospitano i trial.

E qui viene il bello: l’effetto leva complessivo dell’investimento dell’azienda farmaceutica è pari a 2,77: significa che per ogni euro investito dal promotore di uno studio clinico, il vantaggio economico complessivo per il Ssn arriva fino a 2,77 euro.

A calcolarlo è uno studio dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (Altems) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma diretta da Americo Cicchetti, che ha attivato il nuovo ‘Laboratorio sul Management delle Sperimentazioni Cliniche’ (Lab Msc), coordinato da Luca Angerame. Il Lab ha promosso e guidato la ricerca sugli Averted Costs presentata nel Report Annuale 2020.

La ricerca, realizzata con la collaborazione del pool di 12 aziende farmaceutiche e di Farmindustria, ha l’obiettivo di consolidare un modello per la stima dei costi evitati grazie ai farmaci forniti gratuitamente dalle aziende farmaceutiche negli studi clinici da loro promossi.

Le aziende farmaceutiche promotrici, infatti, per eseguire uno studio clinico, effettuano presso le strutture sanitarie ‘ospitanti’ sia un investimento diretto in denaro verso gli ospedali, sia un investimento indiretto, anche tramite la fornitura di tutti i farmaci sperimentali e di controllo necessari per la gestione dei pazienti, fornitura che, quindi, non è a carico del soggetto pubblico. Questo realizza dunque anche un risparmio consistente per i costi evitati.

Quello degli studi clinici, come molti hanno imparato in pandemia, è un passaggio fondamentale in medicina. Questi studi servono a stabilire sicurezza ed efficacia di un nuovo farmaco. In genere il campione di pazienti arruolato per il trial viene diviso in due gruppi, il braccio di controllo che prenderà o un farmaco già in uso clinico o un placebo verso cui confrontare l’efficacia del farmaco sperimentale che sarà somministrato al resto del campione (braccio sperimentale). L’azienda paga i costi per la gestione del trial e anche per i farmaci somministrati ai due gruppi di studio. I costi dei farmaci per il gruppo di controllo sarebbero altrimenti a carico del Ssn.

Questa ricerca, prima per dimensioni in Italia, è stata condotta da febbraio a dicembre 2020. Sono state trasferite dalle aziende informazioni su 1600 trattamenti previsti in più di 600 studi: da questo iniziale set di dati è stato estratto un campione di analisi di 555 studi e 560 trattamenti complessivamente, filtrando opportunamente quelli che effettivamente generano averted costs.

L’analisi ha calcolato le quantità e il prezzo di ciascun farmaco fornito gratuitamente per il trattamento dei partecipanti agli studi clinici, nel braccio di controllo del campione di studi considerato. Questo valore è stato quindi attribuito anche ai pazienti nel braccio sperimentale, sulla base della considerazione che anche questi ultimi evitano il trattamento standard. Su un totale di quasi € 212 milioni di euro rilevati come investimento diretto delle 12 imprese partecipanti allo studio, sono stati misurati € 376 milioni di investimento indiretto per una spesa complessiva delle aziende farmaceutiche di 588 milioni.

Ecco calcolato dunque l’effetto leva di questa spesa: 2,77 (588 mln/212 mln). Questo indica che per ogni euro investito erogato dalle aziende che promuovono gli studi clinici, il Ssn realizza un beneficio economico di 2,77 euro.

“Quanto emerso – sottolinea Cicchetti – è solo una parte dei possibili benefici economici per il Ssn legati alle sperimentazioni cliniche svolte con la sponsorizzazione delle aziende industriali perché la ricerca si è concentrata solo sui risparmi generati dalla fornitura di farmaci, e non anche su altri aspetti come ad esempio le prestazioni diagnostiche, adottando inoltre un approccio conservativo che probabilmente ha fatto emergere solo una parte del risparmio effettivo totale. In un momento cruciale per il Ssn e con tante risorse in arrivo, investire nelle infrastrutture che migliorano l’attrattività dell’Italia verso le sperimentazioni cliniche garantirebbe un doppio vantaggio, sia in termini di salute che in termini economici”.

“Gli studi clinici dimostrano chiaramente che la salute è un investimento che porta vantaggi per l’intero sistema pubblico – afferma Massimo Scaccabarozzi, presidente Farmindustria – perché le aziende ne sostengono tutti i costi connessi, a partire dai farmaci per i pazienti coinvolti. L’analisi di Altems conferma le stime di Farmindustria secondo cui ogni anno le imprese del farmaco investono 700 milioni nella fase clinica che generano anche benefici non economici, come ad esempio quelli relativi all’accesso alle cure innovative e alla formazione del personale. Insomma la ricerca clinica rappresenta davvero una leva su cui puntare in maniera decisa nell’ambito di una strategia di rilancio dell’industria farmaceutica in Italia”.

“Ecco perché – continua – è più che mai necessario prepararsi all’attuazione del regolamento europeo che standardizza, semplifica e velocizza le procedure di autorizzazion, per creare un contesto maggiormente competitivo capace di attrarre gli investimenti in R&S delle aziende che raggiungeranno nel mondo i 1.500 miliardi di dollari entro il 2026, in grandissima parte proprio per studi clinici”.

Per Scaccabarozzi “è fondamentale rendere strutturale la partnership con le Istituzioni che si è rafforzata durante l’emergenza Covid-19. Un metodo che ha permesso procedure e governance di sistema più efficienti. L’industria farmaceutica crede nel Paese perché è consapevole delle molte eccellenze, pubbliche e private, presenti sul territorio. E – conclude – vuole contribuire a far giocare all’Italia un ruolo da protagonista nella partita della ricerca a livello globale”.

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