Covid, la cannabis è utile contro il virus?

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Fra le tante sostanze naturali che in questi mesi sono state chiamate in causa per i (presunti) effetti contro Covid-19 non poteva mancare la cannabis. Secondo l’Iss i consumatori di cannabis in Italia sono circa sei milioni, ma provate a cercare su Google “cannabis e Covid-19”. Nella prima pagina di risultati nove link su dieci rimandano ad articoli sulle potenzialità della cannabis come trattamento preventivo o rimedio per l’infezione da Sars-CoV-2. Solo un link, invece, riguarda il consumo di cannabis – e i possibili effetti negativi sulla salute – nel corso della pandemia.

Ma allora la cannabis può essere davvero utile contro il virus pandemico? A rispondere sono i medici anti-bufale di Dottoremaeveroche.it, il portale contro le fake news della Fnomceo (Federazione nazionale degli ordini dei medici),

Ebbene, questa volta la risposta che arriva dagli esperti è aperta: “L’ipotesi di un possibile beneficio della cannabis nell’ambito dell’infezione da Sars-CoV-2 è oggetto di studio da parte della comunità scientifica. Altrettanto evidente, tuttavia, è che l’idea piace ai giornali e ai giornalisti, che non perdono occasione per rilanciarla. È quindi utile andare a vedere quali sono le evidenze scientifiche prodotte fino a oggi su questo tema e quali conclusioni permettono di trarre”.

Intanto, ricordano gli esperti, c’è cannabis e cannabis. “A seconda della concentrazione di alcune molecole presenti nei fiori di queste piante, infatti, la cannabis sativa può produrre sostanze molto diverse tra loro. Da un lato c’è la cosiddetta cannabis light, ricca di CBD (insieme di composti chimici privi di effetti stupefacenti) e con una concentrazione di THC (composto chimico con effetti stupefacenti) inferiore allo 0,2% o 0,3%, venduta legalmente e utilizzata, ad esempio, nel trattamento di alcune rare forme di epilessia in aggiunta ai farmaci tradizionali”.

Dall’altro lato c’è la marijuana, “caratterizzata da un livello di THC superiore ai limiti di legge, che è illegale per scopi ricreativi ma utilizzata o studiata, in ambito medico, per il trattamento di condizioni come dolore cronico, insonnia, nausea e vomito da chemioterapia, anoressia, epilessia e altre patologie”. Già nell’agosto del 2020, a pochi mesi dall’inizio della pandemia, alcuni ricercatori parlavano di un possibile ruolo della cannabis nel trattamento di Covid-19. In particolare, due ricercatori della William Paterson University di Wayne (Stati Uniti) suggerivano che “l’aggiunta di cannabis e cannabinoidi al trattamento per Covid-19 potrebbe essere utile per contrastare le infezioni da Sars-CoV-2” concludendo però che “sono necessari più studi e prove”.

L’idea alla base di questa possibilità “era che l’effetto antinfiammatorio di CBD e THC potesse avere un ruolo nel disinnescare uno dei meccanismi alla base dei problemi respiratori dei pazienti affetti da Covid-19. Gli studi sono poi arrivati, a partire dal 2021”. Uno, pubblicato nei primissimi giorni dell’anno sulla rivista Scientific Reports, ha indagato – su campioni di cellule polmonari analizzate in provetta – il potere antinfiammatorio della cannabis in presenza di Covid-19. Dai risultati è emerso che i trattamenti a base di cannabinoidi potrebbero avere un effetto clinico a livello delle cellule polmonari. Tuttavia, come sottolineano gli autori stessi, “mentre l’utilizzo di terapie a base di cannabis per Covid-19 viene analizzato in altri studi, bisogna essere cauti nel proporli, come suggerito da alcuni media, ai pazienti” e “utenti e operatori sanitari dovrebbero evitare di usare la cannabis per il trattamento o la prevenzione di Covid-19”.

Un altro studio “ha messo in evidenza come la somministrazione di cannabinoidi fosse in grado di bloccare l’ingresso del virus – sia nelle forma originale che nelle varianti Alpha e Delta – all’interno delle cellule polmonari”. Mentre un lavoro pubblicato solo qualche settimana fa su Science Advances, invece, ha individuato – in un campione di topi – un effetto del CBD sulla capacità di Sars-CoV-2 di replicarsi e diffondersi”.

Attenzione, però. “Le uniche prove riguardanti esseri umani provengono dallo studio di Science Advances, il quale prevedeva, oltre alle analisi in provetta e sui topi, anche un’indagine su pazienti che assumevano CBD. Nello specifico i ricercatori hanno preso in considerazione circa 1.200 soggetti che assumevano CBD 100 mg/mL per bocca come trattamento per l’epilessia e altrettanti soggetti che invece non assumevano questo composto, mettendo a confronto i tassi di infezione dei due gruppi. I risultati indicano una percentuale di infezioni minore nel gruppo di soggetti in trattamento con CBD (6,2%) rispetto a quelli non trattati (8,9%). Tuttavia, come sottolineato dagli stessi autori, questi risultati non sono sufficienti per stabilire la reale efficacia del CBD come trattamento preventivo per Covid-19“.

“Raccomandiamo fortemente – scrivono gli autori a conclusione del loro articolo – di non cadere nella tentazione di assumere CBD nelle forme attualmente disponibili come terapia preventiva o trattamento per Covid-19, specie in mancanza di uno studio clinico randomizzato realizzato in modo rigoroso” .

Insomma, mentre i potenziali effetti benefici della cannabis contro Covid-19 restano ancora da stabilire, è invece noto che l’inalazione del fumo di cannabis, così come il fumo di tabacco, può avere effetti negativi sul sistema respiratorio. Di conseguenza, come si legge sul sito dell’Associazione Italiana Pneumologi ospedalieri, l’abitudine al fumo “potrebbe a sua volta aumentare la suscettibilità al contagio e determinare un aggravamento del quadro clinico di questa malattia”.

Infine un gruppo di ricercatori brasiliani ha analizzato i diversi rischi, sia per la salute fisica che psichica, associati al consumo di cannabis durante la pandemia di Covid-19. “I consumatori di marijuana – scrivono nel loro articolo – possono essere più vulnerabili al contagio e corrono un rischio maggiore di peggioramento delle condizioni cliniche legate all’infezione da covid-19. Questo può essere spiegato sia attraverso l’azione della sostanza psicoattiva sul sistema nervoso centrale e sul sistema immunitario, oltre che per i metodi utilizzati solitamente per assumere la sostanza”. Insomma, mentre la scienza indaga, sarebbe bene attendere i risultati.

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