Alzheimer, a caccia dei primi segni con l’intelligenza artificiale

Rossini
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Studiare la connettività funzionale del cervello attraverso metodiche informatiche, nuove tecnologie, machine learning e intelligenza artificiale, per riconoscere le forme prodromiche di Alzheimer. A illustrare la ricerca, in corso presso l’Irccs San Raffaele di Roma e altri centri italiani in in occasione della Giornata mondiale che celebra la malattia è Paolo Maria Rossini, direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’Irccs.

Sono passati 115 anni da quando il neurologo tedesco Alois Alzheimer descrisse per la prima volta i sintomi e gli aspetti neuropatologici della patologia che da lui prese il nome, e che nel nostro Paese colpisce – secondo le stime – un milione di persone.

In assenza di una cura in grado di modificare in modo sostanziale il decorso naturale dell’Alzheimer, sulla quale sono comunque in corso numerosi trial clinici con farmaci sperimentali che saranno completati tra il 2024 e il 2025, l’unica arma è l’intervento precoce.

“Occorre tenere presente – spiega Rossini – che esiste una forma prodromica di demenza che viene definita Mild Cognitive Impairment. Nel nostro Paese ci sono circa 750.000 persone con declino cognitivo lieve, ovvero soggetti con un elevatissimo rischio di ammalarsi di demenza: metà di queste è di fatto già ammalata di una forma molto iniziale, prodromica appunto, che si svilupperà in modo evidente nei successivi 3-5 anni mentre la rimanente metà rimarrà autonoma e procederà secondo le normali curve di invecchiamento fisiologico”.

L’identificazione all’interno della popolazione over 60 di soggetti con ‘disturbo cognitivo lieve’ rappresenta dunque una delle urgenze maggiori in tema di politiche sanitarie, anche per la corretta allocazione delle risorse economiche destinate alla patologia.

Un aiuto può arrivare dall’innovazione tecnologica. “È un approccio nuovo alla demenza – sottolinea il neurologo – attraverso l’utilizzo di moderni strumenti di analisi basati sullo studio della connettività funzionale del cervello attraverso metodiche informatiche che includono la teoria dei grafi e metodi di apprendimento automatico (machine learning e di intelligenza artificiale)”.

Questi strumenti, applicati all’analisi di diversi biomarcatori neuropsicologici, genetici, strutturali, flusso/metabolici e dei segnali elettrici del cervello (elettroencefalogramma, Eeg) “permettono di raggiungere una diagnosi precoce e fare una prognosi appropriata per distinguere un invecchiamento cerebrale fisiologico da uno patologico”, conclude Rossini.

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