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Alimenti: occhio a quelli nemici di salute e longevità

alimenti ultraprocessati
Adyen Articolo
Velasco25

La velocità non è amica della salute, almeno a tavola. Stando a un nuovo studio internazionale, infatti, gli alimenti ultraprocessati – cibi confezionati che hanno subito diversi processi di trasformazione industriale, come aggiunta di additivi, coloranti, emulsionanti, aromi e altri ingredienti – si confermano nemici di salute e longevità. Tanto che faremmo bene a evitarli.

Non è proprio una sorpresa, bisogna ammetterlo. Ma a colpire è vedere nero su bianco i numeri dell’impatto di questi alimenti sulla nostra salute. Il lavoro – pubblicato sull’American Journal of Preventive Medicine – fornisce solide basi alla richiesta di un’azione globale per ridurre il consumo di questi alimenti. Oltre risuonare come un monito nella patria della dieta mediterranea.

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Perchè gli alimenti ultraprocessati fanno male

La promessa di mandare in pensione le preparazioni lente e complesse della cucina tradizionale a vantaggio di piatti pronti da servire (e gustare) non è a costo zero. La lista di ingredienti di questi alimenti – di solito lunghissima – è povera di cibi integrali o freschi e ricca di sale, grassi e zuccheri in grado di assicurarne la palatabilità.

Considerati i ritmi della vita moderna, a molte latitudini questi prodotti stanno gradualmente sostituendo i pasti ‘fatti in casa’, a base di ingredienti freschi e minimamente trasformati. C’è poi da tener conto della variabile costo: i cibi industriali in genere sono più economici. Ma alla fine a pagare un prezzo è la nostra salute.

Come spiega il ricercatore principale dello studio, Eduardo Augusto Fernandes Nilson della Fondazione Oswaldo Cruz  (Brasil), questi alimenti “influiscono sulla salute al di là dell’impatto dell’elevato contenuto di nutrienti essenziali (sodio, grassi trans e zucchero), a causa delle alterazioni subite durante la lavorazione industriale e dell’uso di ingredienti artificiali, tra cui coloranti, aromi e dolcificanti artificiali, emulsionanti e molti altri additivi e coadiuvanti tecnologici. Pertanto la valutazione dei decessi per tutte le cause associati al consumo” di questi cibi “consente una stima complessiva dell’effetto della lavorazione industriale sulla salute”.

La ricerca: metodo e risultati

Il team ha messo sotto il microscopio i dati provenienti da indagini nutrizionali rappresentative a livello nazionale e quelli sulla mortalità in otto Paesi: Australia, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Messico, Regno Unito e Stati Uniti. I risultati non lasciano adito a dubbi: i decessi prematuri attribuibili al consumo di alimenti ultraprocessati aumentano significativamente in base al ‘peso’ di questi cibi nell’apporto energetico totale dei singoli.

“Abbiamo inizialmente stimato un’associazione lineare tra il consumo di alimenti ultraprocessati e la mortalità per tutte le cause, in modo che ogni aumento del 10% dei primi nella dieta, corrispondesse a un ​​rischio di morte per tutte le cause del 3%. Successivamente, utilizzando i dati sul consumo alimentare nei Paesi (che vanno dal 15% dell’apporto energetico totale in Colombia a oltre il 50% negli Stati Uniti), abbiamo costruito un modello che stima che la percentuale di decessi prematuri prevenibili dovuti al consumo di questi cibi”.

Ebbene, il dato può variare dal 4% nei Paesi con un consumo di inferiore a quasi il 14% in quelli dove è più elevato. Ad esempio solo nel 2018 ben “124.000 decessi prematuri sono stati attribuiti al consumo di alimenti ultra processati negli Stati Uniti”.

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Un corollario di patologie

Il consumo elevato di cibi pronti è stato associato dai ricercatori a ben 32 diverse patologie, tra cui malattie cardiovascolari, obesità, diabete, alcuni tipi di cancro e depressione. Per la prima volta, questo studio ha stimato l’impatto dell’assunzione di  alimenti ultraprocessati sulle morti premature per tutte le cause in diversi Paesi, dimostrando che la mortalità è significativa in tutti i contesti e che affrontare il problema  dovrebbe essere una priorità nutrizionale pubblica globale.

“È preoccupante che, mentre nei Paesi ad alto reddito il consumo è già elevato ma relativamente stabile da oltre un decennio, nei Paesi a basso e medio reddito sia in continuo aumento – nota Nilson – Questo significa che, mentre l’impatto nei Paesi ad alto reddito è attualmente più elevato, sta aumentando negli altri”. Insomma, è come un’onda che pian piano sta montando.

I ricercatori non hanno dubbi: “Sono urgenti delle politiche ad hoc, che disincentivino il consumo a livello globale, promuovendo modelli alimentari tradizionali basati su alimenti locali, freschi e poco trasformati”.

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