Cambia l’approccio alla cura del cancro. La risposta di Gilead

Car-T
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Undicimila dipendenti, cinque aree terapeutiche, 35 Paesi nei cinque continenti in cui è presente con 24 farmaci innovativi sul mercato, a cui si aggiungono 32 molecole in varie fasi di sviluppo clinico, per un investimento annuale in R&S che nel 2018 è arrivato a 5 mld di dollari. Gilead a livello globale ha chiuso il 2018 con un fatturato di 21 mld di dollari. A disegnare il quadro del colosso biotech, in coincidenza dell’immissione sul mercato italiano della rivoluzionaria terapia CAR-T contro il cancro sviluppata dall’azienda, è Valentino Confalone, vice president e general manager dell’affiliata Italiana. Piglio sicuro, complice la solida conoscenza del settore, Confalone snocciola i numeri di Gilead Italia raccontando a Fortune Italia passato, presente e futuro dell’azienda. “In Italia abbiamo chiuso il 2018 con 510 mln di euro di fatturato”, racconta sottolineando le entrate record – 30 mld a livello global e 800 mln in Italia – negli anni del lancio del farmaco per la cura dell’epatite C.

Ma la trasformazione del gigante californiano da bruco a farfalla risale a molto tempo prima, quando da startup con 6 dipendenti nel 1987, nel giro di 5 anni Gilead si quota in Borsa con un valore di 86,3 mln di dollari. Una farfalla che si libra in cielo tra il 2000 e il 2005 con lo sviluppo del ‘single tablet regimen’ – una singola compressa – per il trattamento dell’Hiv, rivoluzionando la storia della malattia; e sfiora il picco negli ultimi anni con l’immissione sul mercato del sofosbuvir, la molecola che ha portato alla riclassificazione dell’epatite C da malattia cronica a patologia curabile. La massima espressione di quella ‘innovazione trasformativa’ – l’innovazione che trasforma la storia naturale di una patologia – che è colonna portante della filosofia aziendale. Un volo che non è stato a ciel sereno, che ha sfidato le intemperie sollevatesi dalle polemiche sui prezzi per poi vedere le nubi diradarsi e lasciare spazio a nuovi viaggi.

E ora è un altro di quei momenti epocali: quelli in cui acquisizioni mirate, ricerca e sviluppo hanno guidato l’azienda verso la risoluzione, per alcuni pazienti, di altre malattie un tempo incurabili, ovvero alcune categorie di tumori rari del sangue. Pazienti che prima avevano un’aspettativa di sopravvivenza di 6 mesi, ora possono ottenere una remissione completa. Si tratta dello sviluppo delle terapie CAR-T, ‘Chimeric antigen receptor’. Non solo una possibile risposta a queste patologie, “ma un nuovo approccio terapeutico, che può trovare applicazione in molte altre aree, rivoluzionando il panorama delle terapie contro il cancro. E non solo”, spiega Confalone.

Nella sua esperienza ventennale trascorsa prevalentemente all’estero, tra Spagna, Francia e Portogallo, già general manager di Bristol-Myers Squibb Portugal, e alla guida di Dompé in Europa, Confalone approda in Gilead nel 2017. Un anno cruciale per l’avventura dell’azienda biotech nel mondo delle CAR-T: è proprio in autunno inoltrato, infatti, che il colosso conclude l’acquisizione di Kite Pharma per 11,9 mld di dollari. Sicuramente “la più rilevante tra le operazioni recenti”, che “ha portato tutta la piattaforma per lo sviluppo di terapie cellulari all’interno di Gilead”, spiega Confalone. La terapia cellulare firmata Gilead (axicabtagene ciloleucel) viene così approvata e commercializzata negli Stati Uniti nel 2017 per il trattamento dei pazienti colpiti da linfoma diffuso a grandi cellule B e linfoma primitivo del mediastino a grandi cellule B come terza linea o più. Mentre nel 2018 è il turno dell’approvazione dell’Ema, fino ad arrivare a varcare i confini italiani ottenendo la rimborsabilità dall’Aifa proprio l’11 novembre di quest’anno.

La terapia si rivela innovativa non solo per la modalità con la quale viene trattata la patologia – le cellule immunitarie del paziente vengono ‘addestrate’ ad aggredire le cellule tumorali – ma anche per il modello di lavoro che richiede. “È una terapia che viene sviluppata e poi somministrata al paziente in maniera congiunta tra l’ospedale e l’azienda. Un approccio che prevede un cambiamento del modo in cui il Ssn è organizzato”, spiega l’Ad. Nella terapia CAR-T la ‘medicina’ sono le stesse cellule del paziente: vengono separate dal sangue dopo un prelievo, per poi essere congelate a -150 °C e inviate negli Stati Uniti (presto ci sarà un laboratorio anche in Olanda), reingegnerizzate, rimandate al mittente e infuse nuovamente nel paziente. “Tutto questo meccanismo richiede che azienda, scienziati di Gilead e clinici dell’ospedale lavorino insieme. È una terapia complessa con effetti collaterali importanti, che vanno gestiti insieme all’azienda che ha vissuto l’esperienza già in altri Paesi. Servono un’organizzazione congiunta e un coordinamento strettissimo tra pubblico e privato. Non è un cambiamento banale”, precisa l’Ad.

Le partnership pubblico-privato, inizialmente guardate con diffidenza da alcuni governi, si stanno rivelando la possibile chiave di volta verso la sostenibilità di un sistema sanitario sempre più in difficoltà. “Alcuni Paesi, Italia inclusa, per ovviare agli elevati costi di queste terapie avevano cercato di sviluppare in house delle alternative low cost paragonabili al prodotto industriale – spiega l’Ad – Ma è risultato presto evidente sia che il costo di sviluppo è oggettivamente insostenibile per il sistema pubblico sia la necessità di sviluppare competenze a livello pubblico che siano complementari rispetto all’hub privato”, afferma Confalone sottolineando come questo percorso sia inevitabile anche in altri campi. “Laddove gli investimenti sono più elevati e il rischio è più elevato subentra l’industria”.

In ogni caso l’attuale prezzo delle terapie cellulari è destinato a sgonfiarsi con l’avanzare della ricerca. E “la potenzialità della tecnologia è quella di andare ben oltre questa patologia, sia in area ematologica, sia potenzialmente sui tumori solidi”, afferma Confalone. A fare da booster nel raggiungimento di questo obiettivo, l’accordo di collaborazione globale da 3 mld di dollari sancito tra Kite e Sangamo Therapeutics. La piattaforma tecnologica di Sangamo ‘zinc finger nuclease’, infatti, “fornisce un aiuto alla decriptazione necessaria per le terapie cellulari. È fondamentale per l’accelerazione dello sviluppo delle terapie”, spiega l’Ad.

Le CAR-T sono dunque il grimaldello che potrebbe spalancare all’azienda il portone di tutta l’area oncologica, destinata a crescere molto all’interno del portfolio di Gilead, attualmente dominato dai farmaci per il trattamento dell’Hiv: “l’azienda per 30 anni ha fatto la storia dell’Hiv, che rimane il core business ancora oggi. Oltre il 50% del fatturato, infatti, è legato a quest’area di business”, spiega Confalone, sottolineando che l’attuale equilibrio è destinato a riassestarsi. “Ci sono altri pilastri che sono i driver della crescita futura”. Oltre all’oncoematologia, “anche l’inflammation sarà un’importante area di crescita. È un mercato enorme: basti pensare che oggi il farmaco più venduto al mondo è un prodotto nell’area inflammation per l’artrite reumatoide”.

Tra i deal di rilievo, infatti, Gilead vanta anche quello stretto con Galapagos, azienda belga con una piattaforma di sviluppo “particolarmente promettente” proprio sull’area dell’inflammation. Non solo terapie innovative, non solo modelli di partnership pubblico-privato innovativi, ma anche formule di collaborazione privato-privato inedite. Il recente accordo da 5 mld di dollari tra le due aziende, infatti, è la dimostrazione di come l’innovazione, fortemente impressa nel dna di Gilead, possa assumere diversi volti. “Non è né un’acquisizione, né un co-marketing tradizionale, né una fusione, né un accordo tradizionale di co-commercializzazione. Quello adottato da Gilead e Galapagos non è un modello tradizionale. Ma è un’integrazione tra aziende che fa leva sul meglio dell’una e dell’altra”, spiega Confalone. Questa formula innovativa, “prevede i diritti di Gilead ad avere un’opzione su tutti i prodotti sviluppati da Galapagos per i prossimi 10 anni. Si tratta di un modello studiato ex novo. E per questo è anche molto sfidante dal punto di vista manageriale”. I dettagli sono ancora in via di definizione, ma non bisognerà aspettare molto per vedere i primi frutti di questo ‘matrimonio’ non convenzionale: “stiamo aspettando l’approvazione di filgotinib, un prodotto per il trattamento dell’artrite reumatoide che è stato co-sviluppato nell’ultima fase e verrà co-commercializzato da Gilead e Galapagos”, anticipa Confalone.

Se attualmente circa la metà del fatturato dell’azienda è legato ai prodotti per il trattamento dell’Hiv, un altro ruolo da protagonista lo gioca l’area dell’epatite C, il “20-25% del fatturato arriva da lì”, spiega Confalone. Prima azienda al mondo ad aver commercializzato il farmaco in grado di eradicare il virus – la molecola che ha portato in auge il nome di Gilead – il trattamento è lo stesso che ha spinto l’azienda al centro del polverone sollevatosi per i prezzi elevati con i quali il farmaco è stato immesso sul mercato. Ma nell’ultimo anno “ci sono stati sempre più riconoscimenti dalle Istituzioni, in particolare dalle Regioni, dalle associazioni pazienti, oltre che dai medici, su quanto l’intera polemica in realtà nascondesse una realtà completamente diversa”, spiega l’Ad. Premesso che nel 2017 circa un milione e mezzo di persone con Hcv è stato trattato con terapie a base di sofosbuvir. E in Italia, alla fine del 2018, su 160 mila pazienti con Hcv, 100 mila sono stati curati con un trattamento ‘sof-based’. “L’investimento sull’epatite C è stato riconosciuto come il migliore che sia stato fatto in sanità negli ultimi decenni in termini di farmacoeconomia. Infatti, il risparmio che genera sul sistema sanitario nel complesso è nettamente superiore rispetto all’investimento iniziale”, afferma Confalone sottolineando come la criticità ‘prezzi’, di difficile gestione dal punto di visibilità dell’immagine, “sia stata ribaltata”. Favorendo anche la riconferma dei due fondi da 500 mln di euro l’uno, istituiti nel 2017, per i farmaci innovativi molto costosi.

Nel frattempo la crociata per la trasparenza dei prezzi, cavallo di battaglia dell’ex governo gialloverde, sembrerebbe essere stata ridimensionata. Attualmente, in Italia, quando un nuovo farmaco viene immesso sul mercato la contrattazione tra azienda e Agenzia italiana del farmaco (Aifa) rimane riservata. “Questo serve a garantire che ogni Paese possa avere un prezzo adeguato rispetto alla situazione del Ssn locale”, spiega Confalone sottolineando che questo meccanismo “ha consentito all’Italia di avere farmaci a prezzi decisamente più bassi rispetto a quelli di altri Paesi dell’Europa occidentale, e di garantire così l’accesso a terapie, come le stesse terapie cellulari, che altrimenti sarebbero state difficilmente sostenibili per il Ssn”.

Le altalenanti iniziative intraprese nel settore, da un governo all’altro, non hanno danneggiato l’immagine del Paese all’estero: “La percezione dell’instabilità politica italiana esiste già da tempo. La particolare evoluzione di questi ultimi anni ha posto certamente delle sfide ulteriori rispetto al passato, per tutto il mondo manifatturiero – in termini di business – ma anche per il mondo farmaceutico. Ma nonostante questo come azienda siamo riusciti a portare avanti il nostro lavoro e a distinguerci per il nostro lavoro”, spiega Confalone. Nel contesto Europeo, infatti, Gilead Italia è seconda solo all’affiliata francese. Un risultato che deriva dalla combinazione di due fattori: in primis la performance dell’affiliata italiana, in particolare nell’area dell’Hiv e delle infezioni, ed in secondo luogo “la prevalenza dell’epatite C che in Italia è elevata”. Ma non solo. L’Italia é un polo del manifatturiero farmaceutico estremamente importante, il primo in Europa, e gioca un ruolo chiave anche nel sistema Gilead. “L’azienda ha un’organizzazione molto ‘lean’. Sono pochi gli impianti di proprietà Gilead e si fa un grande utilizzo invece delle competenze di terzi. L’Italia è un hub molto importante per il sistema manifatturiero Gilead. Una grandissima percentuale del principio attivo sofosbuvir è stato prodotto in Lombardia”.

Ora tra le sfide che l’azienda è pronta a cogliere c’è sicuramente quella della digitalizzazione: “Dobbiamo massimizzare il potenziale del digitale fuori dai meccanismi di ricerca in cui siamo già avanti”. In questo processo “il benchmark con attori diversi è fondamentale”, sottolinea Confalone. Un ulteriore passo avanti per cui l’azienda, ora che il rinnovamento di management è stato completato con la nomina di Andrew Dickinson a Cfo, è pronta.

Dickinson era già a capo del business development di fusioni e acquisizioni. “E questo dimostra quanto sia fondamentale per Gilead questa parte del business”, afferma Confalone sottolineando che questo è l’ultimo tassello che mancava, in un cambiamento complessivo di pelle dell’azienda, “dalla vecchia generazione di management che ha portato al successo di Gilead nei suoi primi 30 anni di vita, a quello che dovrebbe accompagnarla nelle prossime decadi”.

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