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Coronavirus, Pani rilancia obbligo vaccino

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Dal debutto della più grande campagna vaccinale della storia italiana ai nodi della regionalizzazione, dall’obbligatorietà dei vaccini fino al ‘mistero’ degli anticorpi monoclonali anti-Coronavirus, grandi assenti nel nostro arsenale terapeutico. Intervista a Luca Pani, Department of Psychiatry and Behavioral Sciences University of Miami (Usa), già direttore generale di Aifa (Agenzia italiana del farmaco)

 

Già qualche mese fa aveva espresso preoccupazione per la logistica e la distribuzione del vaccino contro il Coronavirus in Italia. Conferma la sua preoccupazione?

 

Ogni Paese, compresi gli Stati Uniti dove io risiedo, e direi con l’eccezione di Israele, lamenta ritardi nella distribuzione dei vaccini e nel numero di vaccinazioni. L’Italia è oggettivamente in ritardo rispetto al resto del mondo; parlano i numeri e ognuno potrebbe andarseli a vedere e fare le debite comparazioni sia per il numero dei casi di Covid-19 (https://ourworldindata.org/coronavirus ) che per quello delle vaccinazioni (https://ourworldindata.org/covid-vaccinations). I numeri assoluti non contano niente, ovviamente. Quello che conta è un’altra cosa. Nel momento in cui le parlo in Israele è stato vaccinato il 17% della popolazione, negli Emirati Arabi l’8% negli Stati Uniti 1,6% in Inghilterra 1,4%, in Russia e in Italia lo 0,5%. Capisce che abbiamo un problema?

 

I primi risultati della campagna di vaccinazione stanno evidenziando profonde disuguaglianze tra le diverse regioni. Come si può intervenire per superare questi gap?

 

Non si possono superare, ci saranno sempre disuguaglianze regionali su tutti gli indicatori e tutte le statistiche, l’unica via è la riforma del titolo V una volta e per sempre, una necessità che è sotto gli occhi di tutti. Io francamente non so che cosa altro serva dopo una pandemia che ha fatto quasi 80.000 morti in tutta Italia per far capire che bisogna avere il coraggio di rivoluzionare tutto il Sistema di Governo del territorio quando si tratta di tutelare la salute, e forse non solo in questo caso. Sono comunque abbastanza scettico sulla possibilità che succeda qualcosa di significativo: appena le cose andranno un po’ meglio, e ci auguriamo che possa accadere presto, si tenderà a dimenticare. E’ anche normale che l’oblio col passare del tempo attenui tanta sofferenza, almeno sino alla prossima crisi. Poi saremo daccapo. E’ esattamente quello che è successo tra la cosiddetta prima e la seconda ondata.

 

L’autorizzazione dell’Ema al vaccino AstraZeneca potrebbe arrivare più tardi del previsto. Ritiene possa esserci una carenza di approvvigionamento rispetto alle dosi necessarie per l’Italia?

 

Da quello che ho visto del piano del Governo direi di sì, però mi pare che – al momento – il problema non sia questo, quanto piuttosto quello che discutevamo un istante fa. Non è vero che non abbiamo abbastanza vaccini, ma è vero che non riusciamo a somministrare i vaccini che già abbiamo per evidenti ragioni di disorganizzazione e strategie sbagliate sul piano logistico.

Che impatto potrà avere il vaccino italiano di ReiThera, che ha appena superato la fase 1 di sperimentazione?

 

Non capisco francamente quale possa essere il vantaggio di un vaccino italiano rispetto ad uno inglese, americano o cinese. Mi sembra tra l’altro un’ipocrisia persino banale quella di evocare nazionalismi produttivi e autonomistici quando l’isolamento, la sequenza e la caratterizzazione molecolare dei bersagli dei vari vaccini sono stati possibili grazie ad uno sforzo straordinario e globale di ricercatori di mezzo mondo, anche italiani certo, ma non solo italiani. Gli italiani da soli sarebbero ancora alla caratterizzazione. Oltretutto il vaccino ReiThera deve ancora entrare nella cosiddetta fase 3 di sviluppo e sappiamo che per raggiungere il numero di eventi necessari per concludere uno studio di fase 3 (come concordato con le autorità regolatorie) per i vaccini servono almeno 30.000-40.000 volontari. Credo ci vorrà un po’, e gli annunci resteranno annunci.

 

La risposta della popolazione alla campagna di vaccinazione resta un tema centrale. Ritiene sia necessario rendere il vaccino obbligatorio, almeno per alcune categorie?

 

Sicuramente sì: innanzitutto per gli operatori sanitari pubblici e privati, per gli insegnanti e i lavoratori cosiddetti essenziali. Ho proposto l’obbligo qualche mese fa perché immaginavo (e ancora ne sono convinto) che avrebbe ‘forzato’ diverse Istituzioni preposte a organizzare la campagna vaccinale a muoversi più rapidamente e meglio. Così non mi pare sia stato, purtroppo.

 

Come ritiene possa evolvere l’epidemia nelle prossime settimane? Vede il rischio che l’alto numero di contagi nel Regno Unito possa preludere a una situazione analoga anche in Italia?

 

Non si sta facendo nulla di significativo per controllare l’epidemia, i numeri per raggiungere una qualsiasi immunità di gregge anche grazie ai vaccini sono lontanissimi, le misure di lockdown sono estemporanee e basate su dati non completamente affidabili, e il tracciamento è ormai fuori portata. Tutto questo fa pensare alla possibilità di un proseguo della seconda ondata fino almeno alla primavera, magari con alti e bassi dovuti più alle imposizioni sulla circolazione delle persone che non a quella del virus. Ripeto che avevamo (e abbiamo) la necessità assoluta di fornirci di terapie adeguate per evitare le ospedalizzazioni e salvare la vita di tantissimi pazienti. Mi riferisco in particolare agli anticorpi monoclonali neutralizzanti, sia singoli che in combinazione tra loro. Il fatto che non siano stati autorizzati sfruttando le norme che abbiamo a disposizione in Italia e che Aifa ha già utilizzato con efficacia oltre 5 anni fa durante l’infezione da Ebola è per me assolutamente inspiegabile.

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