Covid, weekend e dilemma zona gialla

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Ennesimo lunedì dell’era Covid animato dalle polemiche sugli assembramenti. Complice l’assaggio improvviso di primavera, il primo weekend con larga parte della Penisola in zona gialla ha visto sciamare gli italiani fuori casa. Con parchi, vie dello shopping, e persino lungomari affollati dai (tanto temuti) assembramenti. Così, grazie agli appostamenti di fotografi e operatori, gli italiani sono di nuovo finiti nel registro dei cattivi. Ma è davvero così corta la memoria dei nostri connazionali, sordi al drammatico bollettino che conta ormai oltre 91 mila morti per Covid? Perché restano inascoltati i richiami degli esperti, e dello stesso ministro della Salute Roberto Speranza, che ieri ha invitato nuovamente alla “massima prudenza” per “non vanificare i progressi delle ultime settimane, risultato dei sacrifici fatti fino ad ora”?

 

Zona gialla, ha ammonito Speranza, “non significa scampato pericolo”. Ma proprio questo è il punto. Che vuol dire zona gialla? Se – anche visivamente – la zona arancione e quella rossa sono un chiaro monito a fermarsi, distanziarsi, ricordare mascherina e igiene delle mani ed evitare assembramenti, il giallo non ha in sé questo effetto ‘warning‘. Anche al semaforo, quando scatta il giallo, c’è chi (e non sono pochi), anziché fermarsi, ancora accelera per liberare rapidamente l’incrocio (non a caso è uno dei quesiti che più spesso trae in inganno i neofiti all’esame di guida). Allora sarà un problema di colore?

 

Forse, piuttosto, è un problema di informazione: cosa è possibile fare in zona gialla per Covid? A fronte di tanti divieti (no allo spostamento fra regioni almeno fino al 15 febbraio, stop a bar e ristoranti dopo le 18, resta il coprifuoco fino alle 22), si allarga l’elenco delle attività consentite. Riaprono i musei nei giorni feriali, ad esempio, e si può finalmente pranzare al ristorante o prendere il caffè al bar fino alle 18. Una libertà fortemente limitata (un miraggio per chi è in zona rossa), ma alla quale i connazionali non hanno voluto rinunciare. Così (stranamente?), non abbiamo visto affollamenti nei musei durante la settimana. Ma nel weekend gli italiani sono comunque usciti di casa.

 

Se, dunque, oggi virologi ed epidemiologi giustamente paventano i rischi che le folle (oggi parliamo di assembramenti, ma in era pre-Covid erano ‘semplici’ folle) viste in strada si traducano in un nuovo aumento dei casi, e ammoniscono sui rischi legati alle varianti di Sars-Cov-2, gli italiani fanno spallucce. ‘Noi abbiamo fatto quello che era permesso fare’, rispondono ai giornalisti i malcapitati che si sono ritrovati davanti un microfono. Alternando giustificazioni (‘Era tanto che non ci vedevamo’, ‘Abbiamo sempre portato la mascherina’) a preoccupazione: ‘Era pieno di gente in giro’, ‘Presto sarà di nuovo tutto rosso’. Possibile, ma (per dire) tu dove eri?

 

In realtà chi ha scelto di uscire per negozi, fare una passeggiata al mare, pranzare al ristorante, non ha fatto nulla di illecito. Magari quello che è venuto meno è stato il buonsenso che dovrebbe spingere a considerare che questo maledetto virus non è affatto scomparso, che i vaccini stanno arrivando sì, ma col contagocce. E che, se andiamo in posti dove probabilmente troveremo tante persone, i rischi Covid si moltiplicano (senza pensare alle varianti).

 

Attenzione, però: a febbraio 2021 il gioco della ‘maestrina dalla penna rossa’, che il lunedì rimprovera quei discoli che non sono stati belli tranquilli a casa nel fine settimana non regge più. Dopo oltre un anno di pandemia di Covid-19 è ora di essere chiari: se c’è il timore che, proprio come sta accadendo in Europa, anche il nostro Paese sperimenti una recrudescenza, allora bisogna essere netti e dire che certe cose non si possono fare. A costo di scontentare categorie produttive (ed elettori), il messaggio oramai deve essere netto e limpido: questo sì, questo no (e magari per quanto tempo no). Non possiamo affidarci al buonsenso di una popolazione comprensibilmente stanca e confusa. Oppure prendercela con i ragazzi che, dopo un anno tra lockdown e scuola a singhiozzo (senza parlare di banchi a rotelle e forniture di mascherine importabili), appena possono si vedono con amici e compagni.

 

Se invece decidiamo di riaprire (del tutto o parzialmente), smettiamola di colpevolizzare chi fa esattamente quello che prevede il Dpcm di turno. Altrimenti, con il passare delle settimane e la primavera in arrivo, ecco quello che succederà: continueremo a vedere folle in strada e al mare e a sorbirci (ogni maledetto lunedì) servizi giornalistici sull’insipienza e la mancanza di buonsenso delle persone. Insomma, a discutere tra noi e, intanto, ad alimentare il virus.

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