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Le persone con patologie croniche vogliono contare di più

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Le persone con patologie croniche vogliono contare di più, ed hanno tutti i numeri per farlo. I piani pandemici, come quelli previsti per ogni emergenza, nascono per definire protocolli ai quali i destinatari devono attenersi per essere pronti ad affrontare una crisi. Partendo da questi, sarebbe fondamentale prevedere una loro integrazione con l’esperienza e le indicazioni specifiche da parte delle associazioni pazienti. Se c’è una cosa che la pandemia ci ha rivelato in questo settore è stata l’assoluta mancanza di una cabina di regia, regionale e/o nazionale, che coordinasse azioni efficaci e veloci da parte delle associazioni pazienti, da considerare particolarmente preziose soprattutto nei momenti di crisi. Le motivazioni di questo necessario coinvolgimento della voce delle associazioni pazienti, sono molteplici, ma una su tutte è la profonda conoscenza dei bisogni e l’esatta percezione dei tempi necessari per agire.

 

Potendo sfruttare questo enorme serbatoio di informazioni e conoscenze, i decisori potrebbero puntare sulla prevenzione; tutto questo però ha bisogno di tempo e volontà politica. Il punto debole più evidente è la scarsa conoscenza da parte del Sistema sanitario dei propri assistiti. Mancano, infatti, strumenti attivi per monitorare e mappare aree di interesse come la cronicità, dove le persone incontinenti e stomizzate sono una quota non trascurabile.

 

Una soluzione di partenza per rappresentare tutto il ‘sommerso’, e quindi per rendere in modo oggettivo il reale peso di questa parte di popolazione e concorrere a definire meglio il settore, potrebbe essere l’istituzione di registri regionali la cui istituzione è anche prevista da un disegno di legge approvato dalla commissione Igiene e sanità del Senato. Grazie ad essi è facile immaginare quali benefici comporterebbe per il sistema conoscere la storia clinica familiare della persona, la presenza o meno di pluripatologie, il contesto socioeconomico.

 

I dati oggi accettati, ma non verificati, sono pochi e inadeguati per permettere una seria programmazione. I più utilizzati sono quelli provenienti dal mercato e parlano di 75.000 persone stomizzate e circa sei milioni di persone interessate, a vario livello, dall’incontinenza. Dati molto flessibili, se consideriamo che le persone interessate da questa condizione sono sia cronici che temporanei. C’è poi da aggiungere la evidente disuguaglianza di trattamento tra le singole regioni, molte delle quali non hanno ancora dato seguito a quanto previsto nei Lea con il Dpcm 12 gennaio 2017.

 

Non è un mistero, infatti, che nel settore incontinenza e stomia molte riforme sono rimaste sulla carta. Nel gennaio 2018, per esempio, la Conferenza Stato Regioni ha ratificato un documento tecnico di indirizzo sui problemi legati all’incontinenza urinaria e fecale nel quale erano definiti nel dettaglio alcuni interventi strutturali che avrebbero contribuito a rendere più visibile ed efficiente il sistema. In esso, venivano, tra l’altro, istituiti i centri di primo, secondo e terzo livello per l’assistenza alle persone con incontinenza. A circa tre anni solo il Veneto e il Piemonte hanno dato seguito, in parte, a quanto riportato nel documento. Restano poi da definire in maniera chiara la libera scelta degli ausili da parte della persona, i Pdta, i sistemi di distribuzione.

 

Eppure, i numeri a supporto del settore non sono marginali: il Ssn, per la sola assorbenza, eroga il 66% degli ausili con un investimento di circa 350 milioni di euro, pari al 56% della spesa totale. La spesa out of pocket, invece, è pari a più di 280 milioni di euro. Il mercato italiano della stomia, invece, è pari a circa duecento milioni di euro.

 

Nonostante le numerose proposte, poco è stato fatto. Ma non tutto è perduto. A differenza del passato possiamo contare sull’innovazione tecnologica e reti fisiche e virtuali che possono fare la differenza; pensiamo soltanto all’assistenza remota e la possibilità di raggiungere persone anche a migliaia di chilometri di distanza. In questo contesto il rinnovato impegno da parte del legislatore di rafforzare l’assistenza territoriale si sposa bene con la possibilità di organizzare hotspot per l’assistenza i quali potrebbero seguire protocolli realizzati con la collaborazione delle associazioni pazienti all’interno di un piano nazionale d’intervento.

 

Per poter intervenire a sostegno di politiche più incisive anche nel campo dell’incontinenza e della stomia è necessario fare rete, coinvolgendo tutti i soggetti che hanno in curriculum esperienza e conoscenza. Si tratta comunque di una via obbligata per un sistema sanitario che vuole avere un ruolo attivo e utile in un mondo a forte accelerazione nell’innovazione dei processi. Un Sistema sanitario consapevole può anche agire d’anticipo, ripensando modi di interagire e collaborare con le persone e con i pazienti con malattie croniche.

*Pier Raffaele Spena, presidente Fais (Federazione Associazioni Incontinenti e Stomizzati) Onlus

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