Telemedicina, indietro non si torna. La ricetta di Sergio Pillon

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Dopo anni di promesse e false partenze, la pandemia ha buttato in piscina medici e pazienti italiani. La ricetta di Sergio Pillon (fra gli estensori delle linee di indirizzo nazionali sulla telemedicina) per non affogare. La versione originale di questo articolo, a firma di Margherita Lopes, è disponibile sul numero di Fortune Italia di marzo 2021.

 

 

LA PANDEMIA sembra, giocoforza, aver sbloccato la digitalizzazione della sanità. E la telemedicina, rimasta per anni una promessa, in questi mesi è divenuta realtà anche per l’impossibilità fisica di effettuare controlli in presenza. Ma qual è la situazione reale in Italia? Lo abbiamo chiesto a Sergio Pillon, membro del gruppo di lavoro Tecnologie innovative per il contrasto al Coronavirus dell’Istituto superiore di sanità e fra gli estensori delle linee di indirizzo nazionali sulla telemedicina.

 

“La pandemia ci ha gettato in piscina, ma questo non vuol dire automaticamente imparare a nuotare. La nostra abitudine alla prenotazione, alla visita, a stare tutti ammucchiati in sala d’attesa ha subito un colpo. Così abbiamo annaspato, galleggiando. Le basi c’erano: la ricetta elettronica esisteva già, anche se prima di Covid me la dovevano stampare. Ecco che improvvisamente è diventata un Sms. E sono bastate due righe di norma per riuscirci. Molti pazienti, però, hanno rischiato di affogare in questa piscina: sto parlando dei malati cronici, che hanno visto negata la loro assistenza. Noi medici per Dpcm abbiamo sospeso i controlli non urgenti. Solo che, se rinvii un controllo non urgente a un cardiopatico, giocoforza a un certo punto questo diventa urgente. Aggiungiamo che molti in caso di urgenze non sono andati al pronto soccorso perché avevano paura di contrarre il virus. Risultato? Abbiamo avuto un numero di morti in eccesso non legate a Covid significativo rispetto agli anni scorsi. È stato un bene che avessimo le linee di indirizzo nazionali della telemedicina approvate nel 2019. Le Regioni su questo documento hanno rapidamente deliberato di avviare le televisite. Inoltre si è attivato il ricorso al tele-monitoraggio: il paziente trasmette i suoi sintomi a una centrale, che interviene quando i dati destano allarme. Un approccio che si sta rivelando utile anche in cardiologia e diabetologia”.

 

Ma la televisita è una vera visita, o ci sono differenze?

 

È una visita che può essere fatta anche con il telefono. Ma non è una conference call. Per avere un’idea della differenza, da angiologo posso testimoniare che spesso a una cena la mia vicina di tavolo, scoprendo che mestiere faccio, mi fa vedere una coscia sotto il tavolo mostrandomi i capillari e chiedendomi che ne penso. Ecco, quella non è una visita ma una coscia sotto il tavolo. Una televisita – come una visita – è costituita da un’anamnesi, da un controllo di esami fatti in precedenza, dal dialogo, ma anche dall’esame dei farmaci assunti, e finisce spesso con la prescrizione di esami strumentali. Insomma, non può essere una prima visita.

 

Ma come è la situazione in Italia?

 

Oggi nella regione Lazio posso prescrivere a una paziente già nota una televisita esente ticket; si può fare in poco tempo, con seguente prescrizione del farmaco. Ho parlato del Lazio, ma alcune regioni sono anche più avanti: penso all’Emilia Romagna, alla Toscana, al Veneto, ma anche alla Puglia. E da quel che so si sta muovendo anche la Calabria. Oramai le televisite sono ubiquitarie, il tele-monitoraggio per i casi di Covid sta diventando importante. E il settore cresce: secondo un recente report Altems (l’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari dell’Università Cattolica, ndr) sono censite 212 esperienze di telemedicina attive in Italia, e di queste solo 58 sono relative al Covid. In questo quadro mi preoccupa un po’ che il privato non si sia mosso sempre in modo organico: ho visto nascere una pletora di televisite private come prima visita. Ebbene, questo non mi lascia tranquillo.

 

Se il settore ha iniziato a correre, dal punto di vista di attrezzature e device come è messo il nostro Paese?

 

È stato fatto un errore nell’accordo della Conferenza Stato-Regioni sulle ultime linee guida: è stato dichiarato infatti che la piattaforma di conference call per le televisite deve essere un dispositivo medico. Questo non sta né in cielo né in terra. Piuttosto, quello che vogliamo – e nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) se ne parla – è arrivare ad avere un sistema sanitario davvero digitale, in grado di far tesoro anche dei dispositivi per l’auto-monitoraggio dei pazienti.

 

Ma in che modo i finanziamenti del Recovery fund possono contribuire alla digitalizzazione della sanità italiana? Secondo lei quali sono i punti deboli del Piano?

 

Il primo punto debole è che digitalizzazione e telemedicina sono presenti quasi solo nei titoli del Pnrr: noi dobbiamo puntare a un Ssn finalmente digitale e senza carta, invece usiamo ancora i fax, e ne usiamo montagne. Per avere un sistema sanitario paper-less occorrono sistemi di archiviazione e gestione dei dati. Il fascicolo sanitario elettronico deve decollare, e doveva essere il centro del Pnrr. Invece lo è soltanto a parole. Poi si parla di acquistare 2000 nuove grandi apparecchiature per sostituire quelle vecchie di 5 anni, ma io una Tac di 6 anni la terrei. Piuttosto, rinnoverei tutti i pc degli ospedali, che vi garantisco sono ‘a pedali’. Le reti digitali ospedaliere sono obsolete. E anche la digitalizzazione dei Dipartimenti di emergenza (Dea) è un falso problema. Il punto è non farci arrivare i pazienti, potenziando il territorio grazie al digital. Infine, mi fa sorridere la previsione di un preciso numero di pazienti dotati di un kit technological package, ma che cosa vuole dire? Come siamo arrivati a questo numero? Nel piano, poi, non si parla di supporto all’intelligenza artificiale.

 

Se dovesse fare una scommessa, fra due anni a che punto sarà il nostro Paese sotto questo aspetto?

 

Indietro non si torna: fra due anni staremo meglio di come eravamo due anni fa. Ora i pazienti vogliono le televisite e la telemedicina. E per tornare alla metafora della piscina, ora si annaspa, ma gli istruttori di nuoto ci sono. Il mio consiglio è: usate gli esperti e le eccellenze, per traghettare il Paese nel futuro.

 

Quanto all’intelligenza artificiale, sarà un’alleata del medico, o non finirà piuttosto per metterne in discussione ruolo e autorevolezza, come è capitato con il dottor Google?

 

L’intelligenza artificiale non sostituirà il medico, la sua empatia e la sua esperienza. Ma i medici che usano l’A.I. sostituiranno quelli che non la usano: si tratta di uno strumento fantastico per raggruppare e analizzare dati, per gli screening e per selezionare elementi che per la loro complessità sfuggono all’occhio clinico. L’A.I. è come un giovane assistente, molto più fresco di me di nuove informazioni, più veloce, con una mente più aperta. Ma anche io sono indispensabile per lui: 35 anni di esperienza e di errori mi hanno reso prezioso. Ecco perché sono convinto che insieme lavoreremo meglio.

 

La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di marzo 2021. Ci si può abbonare al magazine mensile di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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