Covid Boris
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Dopo un inizio fallimentare – ricordate l’intenzione dichiarata di far correre il Coronavirus fino ad arrivare ad un’immunità di gregge ‘naturale’? – la gestione della pandemia di Covid-19 Oltremanica è da applausi a scena aperta. E la lezione di Alexander Boris de Pfeffel Johnson, primo ministro dalla chioma ribelle, fino a pochi mesi fa aspramente criticato e finanche sbeffeggiato ai tempi del suo ricovero per Covid in terapia intensiva, è di quelle da non dimenticare per il Vecchio continente.

D’altronde forse c’era da aspettarselo da un politico che, da sindaco di Londra, reintrodusse lo studio del latino nelle scuole pubbliche inglesi della Greater London. E che ha firmato un saggio dal titolo ‘Il sogno di Roma – La lezione dell’antichità per capire l’Europa di oggi’ (edito in Italia da Garzanti). La lezione di Boris – ‘Utilius tarde quam nunquam‘ – è all’insegna del pragmatismo. Egli stesso, vien da pensare, ha fatto tesoro degli errori e delle sottovalutazioni iniziali. Così non è un caso se la sua gestione della pandemia – tanto diversa da quella europea – poggi sulla scienza, sì, ma non sia stata priva di rischi. Calcolati, certo, si dirà adesso.

La Gran Bretagna, contando sulle indicazione di un’Autorità regolatoria che prima della Brexit era presa a modello a livello internazionale (e che si conferma un’eccellenza), ha fatto una scommessa: vaccinare il più possibile, almeno con una dose, in modo da fornire una protezione alla popolazione il prima possibile, a partire dai più vulnerabili. E l’ha fatto assicurandosi (prima dei vicini europei) una fornitura solida di vaccini contro Covid-19 (incluso il tanto vituperato, ma anche estremamente economico, siero AstraZeneca).

Dopodiché, in barba alla ‘rolling review’ (revisione continua) dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema), la Gran Bretagna ha approvato rapidissimamente i vaccini e ha iniziato ad utilizzarli in modo massiccio. Ricordate le immagini di vecchini e vecchine sorridenti sotto Natale?

Risultato: a ieri erano 31.581.623 le persone vaccinate con una dose, 5.432.126 con la seconda. A dirci che questa strategia funziona non sono virologi o epidemiologi (che pure in molti casi erano favorevoli al ‘modello inglese‘), ma i numeri: al 5 aprile i casi positivi in Gran Bretagna erano appena 2.762, con 26 morti. E una capacità di testing che (dati al 31 marzo) supera quota 1,2 milioni al giorno.

Che cosa ha fatto l’Europa nel frattempo? Sui contratti con le case farmaceutiche si è molto scritto; nell’approvazione dei vaccini è arrivata sempre ultima, dopo inglesi e americani. E adesso – dopo aver tanto dibattuto sui rischi del modello inglese e sulla superiore sicurezza del metodo europeo – si trova a fare i conti con le forniture a singhiozzo e gli allarmi(smi) legati ad una pessima comunicazione sugli eventi avversi. Per non parlare della gestione del ‘caso AstraZeneca’.

L’auspicio è che la lezione di Boris Johnson non vada persa. Ieri il premier ha annunciato l’ingresso nella Fase 2 sulla strada verso la normalità: dal 12 aprile riapriranno pub, bar e ristoranti, ma solo per il servizio esterno, dopo tre mesi di lockdown e chiusura totali, oltre a parrucchieri, palestre e negozi non essenziali.

Tornerà anche il pubblico negli stadi di calcio: 8mila spettatori ammessi alla finale di coppa di Lega, il 25 aprile. E’ ancora presto, invece, ammonisce Boris, per pensare alle vacanze all’estero. Il virus circola ancora, e il Regno Unite non intende lasciargli campo libero: la strategia è quella di offrire due test antigenici gratis a settimana a tutti i residenti. Per tenere sotto controllo il contagio mentre si va avanti con le vaccinazioni.

Un’iniziativa utile e necessaria, che sarebbe bene adottare anche da noi, quando saremo arrivati a vaccinare contro Covid-19 la metà della popolazione.

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