Parkinson, allo studio anticorpi e vaccini

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Dalla ricerca una promessa contro la malattia di Parkinson. Oggi si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale del Parkinson, un importante momento di awareness per i pazienti e i loro familiari. I numeri della patologia sono in crescita, ma sul fronte della terapia, come su quello della diagnosi precoce, ci sono buone notizie.

In particolare, si stanno già studiando specifici anticorpi monoclonali, ma anche vaccini che bersagliano una particolare proteina, dal ruolo ‘chiave’ in questa malattia. A spiegalo è uno dei massimi esperti internazionali, Paolo Calabresi, direttore della Uoc di Neurologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs e Ordinario di neurologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.

“La malattia di Parkinson, le cui caratteristiche fondamentali, lentezza dei movimenti, rigidità e tremore, sono state descritte oltre duecento anni fa dal medico inglese James Parkinson, tra le patologie neurodegenerative – spiega Calabresi – è seconda solo a quella di Alzheimer in termini di prevalenza. In Italia questa condizione riguarda circa 500-600.000 persone, secondo stime dedotte dalla vendita dei farmaci”.

“Oggi riusciamo a diagnosticare prima questa malattia e questo è fondamentale perché, pur non avendo al momento farmaci in grado di bloccare la progressione della malattia, questi potrebbero rendersi disponibili nel prossimo futuro. E anche la terapia sintomatica, gestita da neurologi esperti, può avere un impatto importante sulla qualità di vita dei pazienti”.

La grande promessa si chiama alfa-sinucleina. Tra i farmaci, i più promettenti sono quelli che hanno come bersaglio le forme mutate della proteina alfa-sinucleina che, diffondendo nel cervello, alterano le funzioni dei neuroni e li fanno degenerare.

“Gli effetti indotti dall’alfa-sinucleina mutata sul sistema nervoso centrale sono molto precoci – spiega Calabresi – e compaiono ben prima della degenerazione neuronale. Questa proteina anomala va ad alterare il ‘dialogo’ tra i diversi neuroni, interferendo sulle ‘parole’ utilizzate dalle cellule del cervello, i neurotrasmettitori. Il nostro gruppo di ricerca sta cercando di capire in che modo l’alfa-sinucleina possa interferire in questo dialogo tra i neuroni, prima ancora che avvenga la loro distruzione. È questa la nuova frontiera della ricerca, sia sul fronte della diagnosi precoce, che delle terapie, in particolare dell’immunoterapia”.

Ma a che punto è la ricerca? “Sono attualmente in corso studi clinici su anticorpi monoclonali (immunoterapia passiva) – spiega Calabresi – in grado di bloccare la diffusione dell’alfa-sinucleina”.

Ma si punta anche alla realizzazione di veri e propri ‘vaccini’ contro il Parkinson (immunizzazione attiva) che hanno lo scopo di ‘insegnare’ al sistema immunitario a riconoscere questa proteina ‘sbagliata’, per distruggerla prima che faccia danno.

“L’alfa-sinucleina mutata – spiega il neurologo – è in grado di diffondere da un punto all’altro del cervello. E’ importante dunque bloccarne subito la diffusione a livello dei gangli della base, le strutture cerebrali cardine nel controllo del movimento. In fase avanzata di malattia inoltre è importante impedirne la diffusione alla corteccia cerebrale, perché questo provoca disturbi cognitivi, che si vanno ad aggiungere a quelli motori”.

L’alfa-sinucleina modificata è al centro anche delle sperimentazioni per la ricerca di biomarcatori di fase precoce del Parkinson, e può essere individuata sia nel liquor che nel sangue.

“In futuro – anticipa Calabresi – la ricerca di questo nuovo biomarcatore ci consentirà di diagnosticare la malattia in fase precoce e di intervenire con anticorpi monoclonali o con un vaccino anti-Parkinson. E’ l’auspicio di una medicina di precisione che possa contare nel caso del Parkinson non solo su farmaci sintomatici, ma anche su farmaci in grado di modificare, bloccare o ritardare la progressione di malattia”.

L’alfa-sinucleina è dunque “la ‘proteina della speranza’ ed è dove la ricerca sulla malattia di Parkinson sta investendo maggiormente. Si tratta di un argomento molto caro alla nostra ricerca. Dopo un lavoro pubblicato su Lancet Neurology, a breve ne pubblicheremo un altro anche sulla rivista Brain”.

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